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Ivano Sorrentino, bomber di famiglia col passato bianconero – ESCLUSIVA
Parlando di calcio, in Italia, se dici Sorrentino pensi subito a una porta
Tradizione di famiglia, iniziata da papà Roberto (professionista anni ’70 e ’80) e proseguita con il primogenito Stefano, ancora oggi protagonista col Chievo Verona dopo quasi 20 anni di carriera. Ma nell’albero genealogico dei Sorrentino, c’è un altro figlio calciatore: Ivano. Uno che ha deciso che le porte le avrebbe sfondate, come bomber, fin dal suo ingresso nel Settore Giovanile della Juventus.
Classe 1983, Ivano Sorrentino ha conosciuto il bianconero fin da bambino. Quando papà Roberto è entrato come preparatore dei portieri della Prima Squadra, allora allenata da Gigi Maifredi. «A quei tempi – ricorda Ivano in esclusiva per JuventusNews24 -, la Juventus non aveva neppure le squadre Pulcini, ma si appoggiava alla Sisport. Il mio percorso è iniziato così ed è arrivato fino alla Primavera. Io e Matteo Paro siamo stati gli unici della nostra annata a fare tutta la trafila, fino in fondo.»
Fino in Primavera e sfiorando il grande esordio con la Prima Squadra.
«Nell’anno di Primavera, con Gasperini in panchina, mi sono allenato spesso con i “grandi”. Quella era una Juventus fortissima, con Lippi allenatore, Del Piero, Nedved, Trezeguet. Nella stagione della finale di Champions a Manchester contro il Milan, sono stato convocato per la trasferta a Kiev. Un’esperienza che ancora oggi mi mette i brividi.»
Che ricordi hai del periodo nel Settore Giovanile?
«Quelli indimenticabili sono legati alle vittorie. Come il Viareggio del 2003, proprio con Gasperini in panchina, lo Scudetto Giovanissimi del 1998 con Maggiora e lo Scudetto Berretti del 2002 con Chiarenza. A quest’ultimo trionfo sono legato in particolare per la semifinale contro il Torino che era allenato da mio padre. All’andata segnai il gol vittoria e iniziai a esultare, ma quando lo vidi in panchina, per rispetto, mi fermai subito…»
Un Ivano Sorrentino che aveva tutte le carte in regola per sfondare. Poi cos’è successo?
«In quegli anni si parlava tanto di me. Conservo ancora dei giornali in cui mi indicavano tra i talenti emergenti. Tra i fratelli Sorrentino, tutti scommettevano su di me. La Juventus non ha creduto in Stefano e lo ha lasciato libero. Ed è stata la sua fortuna, perché ripartendo dal Torino si è costruito la grande carriera che è sotto gli occhi di tutti. A me, invece, quella fortuna è mancata.»
Ci racconti la tua storia?
«A metà dell’ultima stagione di Primavera, l’Ascoli di Pillon mi voleva, potevo cimentarmi subito con la Serie B, con tutte le difficoltà del caso ma anche con la possibilità di mettermi in luce. La società ha preferito tenermi, ho finito l’annata e quella successiva sono finito in prestito al Pizzighettone, in C2. Là sono stato bene, ho segnato parecchio, ma sono iniziati i guai fisici. Ho avuto un problema al legamento di una caviglia e sono stato operato due volte. Mi ero trasferito all’Avellino, ma di fatto ho passato dei mesi a Torino per la riabilitazione. E in pratica ho perso il treno principale. Ho giocato parecchi campionati nell’allora Serie C e negli ultimi anni in Serie D ed Eccellenza. La mia è stata anche una scelta di cuore per stare più possibile vicino a mio figlio Tommaso. Nel 2015 ho accettato di andare in Svizzera, chiamato dall’Ascona allora allenato da Maurizio Ganz. Oggi, a quasi 35 anni, ho ancora voglia di giocare ma ho iniziato a pensare al futuro.»
Un futuro da allenatore?
«Ho già preso il patentino di allenatore Uefa B e sto studiando per avere l’abilitazione ad allenare anche in categorie superiori. In questi ultimi anni ho avuto esperienza come tecnico in vari camp estivi e recentemente io, mio padre e mio fratello abbiamo aperto la Scuola Calcio Sorrentino. Per ora è dedicata ai portieri, ma abbiamo tante idee per il futuro. Il mio sogno è quello di lavorare nei settori giovanili dove ho notato che le cose sono molto cambiate da quando ci sono passato io. Purtroppo in peggio, con troppa gente improvvisata che vuole insegnare calcio ai bambini. E poi ci stupiamo che l’Italia non si è qualificata per i Mondiali. Il nostro movimento avrebbe bisogno di fare tabula rasa e ripartire.»
A parte tuo padre, i modelli a cui ispirarti non mancano.
«Mi ispiro molto a lui e a Giampiero Gasperini. Il mister lo sento ancora oggi e di lui ho sempre un bellissimo ricordo, è uno dei tecnici da cui ho imparato di più. E’ sempre stato meticoloso, attento a tutti i particolari, non mi stupisce affatto vederlo dov’è oggi. Per la mia futura carriera da allenatore mi auguro solo una cosa:avere quella fortuna che mi è mancata da calciatore!»