Arrivabene: «Progettiamo una Juve a più dimensioni. Vi svelo le strategie»
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Arrivabene: «Progettiamo una Juve a più dimensioni. Vi svelo le strategie»

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Arrivabene: «Progettiamo una Juve a più dimensioni. Vi svelo le strategie». Le sue parole ai microfoni di Tuttosport

Maurizio Arrivabene è intervenuto ai microfoni di Tuttosport. Di seguito le sue parole.

NUOVA JUVE – «Non c’è una nuova Juventus, c’è la Juventus che come obiettivo ha la continuità a mantenere una squadra ad altissimi livelli e mirare ad altissimi traguardi. Non starò a ripetere la famosa frase di Boniperti sul fatto che “vincere è l’unica cosa che conta”, ma l’obiettivo è sempre quello. Stiamo progettando una Juventus che parta dal calcio, perché rimane il nostro cuore pulsante, ma che si allarghi in altre dimensioni. Io credo che il marchio Juventus abbia enormi potenzialità e che possiamo andare oltre i confini italiani, facendoci scoprire altre aree di business da sfruttare. Ovviamente tutto parte da una squadra vincente o competitiva ad alti livelli, senza di quella fai molta fatica. Ma abbiamo la fortuna di partire da un posizionamento in Italia e in Europa che ci consente di andare oltre il concetto di club di calcio e diventare una global company».

ESPANSIONE – «Oggi il mondo si muove in una direzione diversa dal passato e lo fa alla velocità della luce. Ci sono fenomeni che si evolvono continuamente, basti pensare ai media. Tutti gli esperti di marketing pensano di conoscere lo scenario, in verità non lo conosce nessuno. O meglio, quando pensano di averlo capito, cambia. Ma anche se nessuno lo ha ancora completamente compreso, offre comunque enormi opportunità. Siamo usciti dai confini del calcio e siamo entrati in un’area più grande che è quella dell’intrattenimento: con quella ci confrontiamo. Abbiamo dei competitor che sono molto più numerosi di quanto si creda. Il fatto di offrire uno spettacolo calcistico è la base, ma si può andare oltre. Secondo me la Juventus vuole dire “emozione” e puoi creare, per esempio con Adidas o con le nostre linee, un prodotto che possa emozionare, creando un marchio vincente che possa interessare non solo gli appassionati di calcio. Poi c’è il mondo dei nuovi media da esplorare».

MODALITÀ – «Beh, la serie Amazon sulla Juventus è stato un esperimento. Ci sono tante cose da raccontare usando i nuovi mezzi di comunicazione: basti pensare alle storie che abbiamo da raccontare attraverso serie, podcast, video. E non parlo solo della prima squadra, ma dell’universo Juventus che include le Women, le giovanili, l’under 23: possiamo costruire contenuti che possono essere molto interessanti, che siano diversi e che si possano confrontare meglio con il mondo dell’entertainment e avere presa sui giovani. In modo da acquisire nuovi tifosi. Per allargare la nostra base che, come sapete, è enorme in Italia, ma all’estero può crescere ancora molto».

J-BRAND – «Chi ama la Juventus di solito ha anche altri interessi, il mondo dei giovani ha infiniti stimoli. E l’espansione di cui parlavo prima può avvenire anche fra persone che non sono appassionate di calcio, bisogna lavorarci. Il “J brand” ha enormi potenzialità. Noi dobbiamo progettare una squadra che in campo deve vincere e un’altra che lavora per espandere il marchio nel mondo».

PROGETTO – «No, calma, noi viviamo, non sopravviviamo. E possiamo vivere anche senza un aumento spasmodico dei ricavi. Questo progetto nasce per affacciarci sul mondo di oggi e sposare un modello di calcio che sia a 360 gradi e non si basi solamente sull’evento sportivo».

MARCHIO JUVE E FERRARI – «Il marchio Ferrari parte da un approccio già globale, ha il vantaggio di aver sempre performato a livello mondiale grazie al tipo di competizione cui partecipa da sempre (è l’unica scuderia a non aver mai mancato un solo Mondiale di Formula 1). La Juventus è una squadra che nasce a livello locale, si amplia a livello nazionale, trova una sua posizione in Europa e oggi vuole fare il salto a livello globale. Sono due storie differenti, la Ferrari sostanzialmente è nata globale, la Juventus può diventarlo».

CAMBIAMENTI IN DIRIGENZA – «Innanzitutto c’è Andrea Agnelli che conosco da venticinque anni e con il quale c’è massima e reciproca fiducia. Poi c’è un amministratore delegato che prima non c’era e oggi c’è. Spesso mi si confonde con il direttore sportivo, ma chiariamo che non sono un direttore sportivo e nemmeno penso di avere le competenze per farlo, quello è Federico Cherubini. Faccio l’ad e il mio compito è di mettere a terra la strategia di cui parlavo prima. Il calcio è un sistema molto complesso. Sono sincero: pensavo che fosse più semplice da fuori. Qui alla Juventus hai tante attività diverse, hai lo stadio che ha un suo business, hai la prima squadra, hai il settore giovanile, hai le Women. E poi c’è il mondo del marketing. E infine i rapporti politici con le istituzioni, Lega, Figc, Uefa. È un sistema piuttosto complesso,anche perché a differenza dall’ultimo lavoro che ho fatto, in definitiva ho a che fare con esseri umani, “macchine” infidamente più complesse di un motore (ride). Più difficile? Beh, per quanto tu pianifichi e per quanto puoi essere bravo a mettere in pista una buona squadra, il fattore umano incide. Parli sempre di persone. E di un pallone che rotola. Il nostro lavoro parte sempre da un approccio molto tecnico e scientifico: noi cerchiamo di pianificare tutto, ma può sempre esserci la sorpresa inattesa che è molto legata al fatto che i calciatori sono uomini e non automobili».

FRANCESCO CALVO – «Di recente è rientrato Francesco Calvo che io conosco da moltissimo tempo, lavoravamo insieme in Philip Morris dove si occupava di tutte le nostre presenze nelle varie competizioni motoristiche. Io so come lavora lui, lui sa come lavoro io: c’è grande sintonia e stima reciproca. Poi ha avuto le sue esperienze al Barcellona e alla Roma, secondo me il suo ingresso ci rafforza ancora di più. Le strategie sono una cosa, metterle in pratica un’altra. Francesco lavora direttamente con me per dare quella velocità e quella determinazione per mettere a terra le strategie di cui parlavamo prima».

CHI FA IL MERCATO – «Lì comanda Federico Cherubini che con i suoi collaboratori – Tognozzi, Manna e Ottolini – si occupa del mercato. È lui l’uomo che fa il mercato della Juventus. Il mio ruolo è dargli un supporto su certe operazioni oppure aprire improvvisamente la porta del suo ufficio ed entrare con un’idea che al momento può sembrare folle e valutarla insieme. Ma poi servono Federico e la sua squadra per effettuare tutte le valutazioni necessarie e soprattutto attuare le idee. Loro sono bravissimi e fanno davvero bene il loro lavoro. Io stimolo e lancio sfide, ma i veri artefici sono loro».

OPERAZIONE DI MERCATO – «Senza un protocollo preciso, perché sono tutte un po’ differenti. Non c’è Maurizio, Federico, Pavel o Allegri che determinano una strategia. C’è un tavolo intorno al quale ci si mette e innanzitutto si valutano i numeri, perché oggi hanno una certa importanza, e da lì, insieme, si decide quale sarà la strategia. C’è chi vorrebbe comprarsi il mondo, chi è più prudente, però alla fine siamo molto uniti. Nel senso che si esce da quella stanza dopo ore di discussione condividendo assolutamente il nostro approccio sul mercato. Il silenzio sul mercato è frutto del nostro stile, ci muoviamo senza enfasi, ma a partire dal presidente sappiamo esattamente cosa vogliamo e come ottenerlo con una grande attenzione alla sostenibilità».

POGBA – «Gli stiamo parlando e le cose si stanno evolvendo molto, molto bene. Esiste quella riunione di cui ho parlato. In quella riunione sono stati portati determinati nomi, alcuni dei quali arrivano come quello di Vlahovic. Apri una porta, lanci un nome, tutti ti guardano come se fossi matto e poi, piano piano, la macchina si avvia e costruisci l’operazione. Così è nato Pogba. Da una domanda: “Ma perché non prendiamo Pogba?”. Attenzione, l’idea non basta: l’idea è solo una provocazione, poi bisogna metterla in pratica. Devi sempre capire se quella provocazione ha i numeri per la messa a terra, la sostenibilità di cui si parlava prima. Se i numeri “quagliano”, devi portare l’operazione in Consiglio d’amministrazione e non puoi presentarti senza numeri che abbiano una logica, se parliamo di giocatori importanti, naturalmente».

SCELTA DI MARKETING – «La presenza di certi giocatori è importante sia dal punto di vista tecnico che commerciale, il mio sogno sarebbe avere un giocatore italiano che venga riconosciuto a livello internazionale: un Totti, un Del Piero, un Buffon, un Paolo Rossi del 1982. Oggi come oggi devi pensare a un giocatore dal valore commerciale che travalichi i confini dell’Italia».

RONALDO – «Ronaldo non è stato sfruttato fino in fondo per colpa del Covid. È un grande dispiacere, perché non abbiamo sfruttato appieno il potenziale, ma c’è un fatto di cui sono fermamente convinto: la Juventus va sopra qualsiasi giocatore. La Juventus è una squadra che ha regole precise e che ha 125 anni di storia, più di un secolo di storia non viene scritto da un solo giocatore, per cui la squadra è sempre più importante dei singoli. Esiste la Juventus e alla Juventus le regole le devono rispettare tutti, a partire da me».

CENTO ANNI PROPRIETÀ – «È un valore importante, un vantaggio notevole per la solidità che ti dà, ma anche una grande responsabilità se si pensa a chi l’ha sempre sostenuta. Ma è quello che ci rende diversi da qualsiasi altra squadra nel mondo: noi siamo questa squadra, abbiamo questa storia e abbiamo questa responsabilità. Ogni tanto ci accusano di parlare troppo poco e di avere un atteggiamento sabaudo, ma non è bello nel calcio di oggi vedere certe scene in cui si fanno volare gli stracci. Meglio parlare quando si deve e stare zitti quando si deve stare zitti».

POLITICA JUVE – «Quello che chiudiamo è un esercizio di bilancio ancora dolorosissimo, perché gli effetti della pandemia non sono ancora passati. Ci portiamo dietro uno zaino pieno di problemi generati anche dalla pandemia. La chiusura dello Stadium e del museo ha danni per 75/80 milioni di perdite su due esercizi, con una marginalità dell’80%, quindi parliamo di perdite pesanti. Al di là del Covid ci sono una serie di costi ad alta marginalità che hanno inciso. Le faccio solo un esempio: lo sa che Douglas Costa inciderà ancora sul prossimo bilancio della società? Non c’è solo il Covid, quindi. In quello zaino c’è una serie di problematiche e di costi. Non voglio fare nessuna critica, ma bisogna essere realisti. Una situazione di crisi non la risolvi con la bacchetta magica da un giorno all’altro. Quindi il bilancio al 30 giugno 2022 sarà ancora lacrime e sangue, però vedo un miglioramento nel futuro».

INGAGGI – «Si tratta di amalgamare alti e bassi con un’idea in testa. Se un rinnovo può diventare un costo troppo oneroso per l’idea che ci siamo dati sugli stipendi, se il giocatore non ha un valore tecnico pazzesco, allora: arrivederci e grazie. È inutile fare un rinnovo al rialzo che carica di ulteriori costi quello zaino, solo per avere un nome piuttosto che un altro. Noi partiamo con l’idea che c’è solo un nome che conta: Juventus».

DYBALA – «Hanno influito anche questi discorsi. C’era stato un accordo, poi c’è stato l’aumento di capitale, ci siamo tutti presi una pausa, di cui i procuratori erano informati e d’accordo, per effettuare valutazioni all’interno del Consiglio di amministrazione. Ci siamo rincontrati e abbiamo detto che i termini erano cambiati, perché volevamo muoverci in maniera diversa. Per cui da un contratto quadriennale a certe cifre, che vorrei evitare di citare per evitare ulteriori polemiche, siamo passati a un’altra strategia. Anche perché tutti sanno chi è arrivato a gennaio, no? Ma questo non ha compromesso i rapporti, non c’è stata nessuna guerra fra noi e Dybala. Dopo la decisione ci siamo sempre salutati cordialmente al centro sportivo. Diciamo che c’è stata una decisione senza se e senza ma su questa vicenda e l’abbiamo messa in atto. Mi auguro che Dybala trovi la squadra e le soddisfazioni che merita. Dal nostro punto di vista le cose hanno un inizio e una fine. Ribadisco: la Juventus è sopra tutto. Ci sono giocatori che hanno lasciato un’impronta profonda, ma il marchio Juventus è sempre più importante».

PROCURATORI – «Ne incontro pochi. Dovrebbe chiederlo a Cherubini. Mi è capitato di incontrare Mino Raiola, anche perché ero curioso di conoscerlo. È stato uno che ha cambiato le regole del gioco rendendole più difficili per i club e più vantaggiose per i giocatori. Lui è stato un procuratore di quelli che sapevano dirigere la carriera di un giocatore, disegnandola e mettendola in atto. Poi c’è il tipo di procuratore passivo che accompagna il giocatore e ne soddisfa le esigenze, Mino progettava. Si ricorda quando dissi: “I giocatori seguono più il procuratore che la maglia”? Beh, quella sera lì Mino mi mandò un messaggio: “Sei un grande! Hai detto benissimo!”. Io ho rispo- sto: “Mino, ma non hai ca- pito che ce l’avevo con te”. E lui mi ha risposto: “Lo so, lo so”. Ovviamente lo prendeva come un complimento».

ATTEGGIAMENTO – «Se dire le cose che si pensano significa essere duri, allora sono duro. Preferirei dire che sono dritto, coerente. Quando sono entrato nel calcio non ho avuto la presunzione di dire: “Adesso cambio il calcio”, ma sono anche altrettanto fermo nel dire che il calcio non cambierà me. Io non faccio altro che seguire con grande disciplina la linea che ci siamo dati, soprattutto in un mondo in cui le abitudini diventano regole e servirebbe invece che le regole formassero buone abitudini. Poi c’è chi non mi conosce e dice cose terribili o bellissime, ma mi passa tutto. Dicono che non sia competente di calcio, per esempio. Beh, sostanzialmente è vero. Non devoessereiocompetentedi calcio, devo esserlo Cherubini, deve esserlo Pavel, che si siede accanto a me durante le partite e mi spiega un sacco di cose. Lo dico ufficialmente, così non ci sono equivoci: non sono competente di calcio, ma so quello che voglio e so come lo voglio ottenere. E so quello che penso e il calcio non mi farà star zitto».

DE LIGT – «Torniamo a parlare di giocatori che seguono i consigli dei procuratori o dei colleghi invece che della società. Oggi è impossibile trattenere un giocatore che se ne vuole andare. Ma è sempre una questione di numeri, non è che se uno vuole andare via gli rispondi: prego, accomodati. È difficile trattenere un giocatore, però dal tavolo della trattativa bisogna alzarsi tutti e tre soddisfatti. E vale sempre l’articolo quinto: chi ha i soldi ha vinto».

ATTACCAMENTO E VLAHOVIC – «Io li vedo, quando è in corso la stagione e ci mettono sempre un impegno enorme. Vedo il professionismo e la dedizione. Poi ognuno ha il suo carattere. Mi ha stupito Vlahovic: ha una voglia di vincere e dimostrare quello che è il suo valore che è pazzesca, è un guerriero. Altri magari esplicitano tutto in modo diverso».

POLITICA GIOVANI – «No, non è un cambiamento di rotta. Servono i punti di riferimento ovunque, la nostra strategia è e continua a essere l’inserimento dei giovani, proprio per questo dobbiamo far trovare dei riferimenti che indichino loro la strada. Ho visto l’effetto che Ronaldo ha avuto su tanti nostri giocatori. Adesso gente come Fagioli, Soulé e Miretti deve avere campioni da cui imparare il mestiere».

TIFOSI SCONTENTI – «Il tifo per me deve essere a prescindere. O sei tifoso sempre o non puoi esserlo a puntate. Una volta ci sei e un’altra volta non ci sei e non fai sentire la tua voce. Per me il tifo deve essere coerente, costante e sano. Poi che sia cantato, urlato o altro non importa, basta che sia sano. Se tu utilizzi il tifo come una forma di ricatto nei confronti della società, come fai a essere un tifoso della Juventus? Sei un tifoso a puntate».

STADIUM SILENZIOSO – «Sa, lo stadio non dovrà ospitare solo ed esclusivamente l’evento legato alla partita, dovrà allargare i suoi confini e diventare una forma di intrattenimento. Una forma di intrattenimento non ha necessariamente bisogno di urla, striscioni e di organizzazione. L’organizzazione deve essere quella della società che deve organizzare uno spettacolo che giustifichi il prezzo del biglietto. L’obiettivo è di portare le famiglie allo stadio, se poi invece dei cori del tifo organizzato sentiremo le voci dei bambini entusiasti… Ma anche questo è un modo per far crescere la passione nei giovani. Non puoi essere della Juventus a singhiozzo: o lo sei sempre o non lo sei mai».

ALLEGRI – «Noi lo coinvolgiamo in tutto e lui ci coinvolge nelle scelte. Lui ha preso molto a cuore la strategia del club e abbiamo iniziato questa operazione insieme. Non è stata facile per nessuno, noi avevamo l’aumento di capitale, i costi della società da controllare e le strategie future mentre lui doveva gestire una squadra che si è trovato e che non ha costruito. Ora, grazie a quelle riunioni di cui parlavo e ad un gruppo dirigente molto compatto, si sta iniziando a costruire qualcosa di più adatto a lui. Sarà la Juventus di Allegri? No, non è così. È la squadra che abbiamo condiviso e progettato insieme, perché siamo un gruppo molto compatto e in silenzio stiamo andando sul mercato ad attuare quello che è stato già deciso a tavolino. Noi agiamo secondo un piano. A sentire in giro, abbiamo comprato tutti e venduto tutti… Però, sono sincero, questo racconto del mercato mi affascina anche un po.’ Ogni tanto leggo o vedo in tv dei nomi che non avevo mai sentito nelle nostre riunioni, quindi chiamo Cherubini per chiedergli: ma davvero stiamo trattando quel giocatore?».

WOMEN – «La grande novità è il professionismo, un’evoluzione corretta. Noi riteniamo che investire sulle donne sia necessario e utile. Il nostro punto è dare loro pari dignità in tutto, anche nell’organizzazione. Oggi, infatti, hanno una struttura a parte che riferisce direttamente a me. Sulle Women bisogna investire perché è un settore in grande crescita: magari i risultati non si avran- no subito, ma il futuro è sicuramente lì e abbiamo il miglior dirigente del settore in Stefano Braghin, spesso consultato anche a livello nazionale. L’obiettivo, per noi, sarà anche quello di eliminare la parola Women. E anche le parole Under 23. Dovrà esistere solo la Juventus. Come dicevo: Juventus sopra di tutto e tutti».

CLIMA IN LEGA – «Il dialogo all’interno deve essere migliore. A volte sembra quasi che si goda dell’immagine di litigiosità, quasi che litigare fosse una tradizione di cui andare fieri e da portare avanti. Oggi viviamo in un momento in continua evoluzione, per cui una gestione commerciale deve puntare a posizionare il calcio italiano ad alti livelli evitando le beghe di condominio. La Lega non può e non deve essere un’assemblea di condominio e come primo obiettivo deve porsi il rilancio del calcio italiano, anche attraverso il dialogo con la Federazione».

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