Juve Inter: una tensione “inevitabile”
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Juve Inter: una tensione “inevitabile”

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Juve Inter: una tensione “inevitabile”. La serie de derby d’Italia si aggiorna continuamente di nuovi episodi

Juventus e Inter hanno fatto di tutto affinché ci si avvicini nel commentare questa partita partendo dal finale. Troppo forti quelle immagini, anche se non è che manchino nel recente passato scene simili, per non imprimersi in questa serie che viviamo da sempre e che si aggiorna con continui episodi. Fino a 30 secondi dalla fine avevo in testa due episodi che mi sembravano dei dejà vu che spiegavano molto: il tradizionale gol di Cuadrado all’Inter, puntuale e persino simile ad altri nell’esecuzione, nell’esultanza e nel balletto che lo accompagnano; il nervosismo di Barella dal primo minuto, con mimica accentuata da indignato che un po’ può anche essere legittima per caricarsi e dare il meglio di sé sul versante agonistico; poi, però, finisce per essere stucchevole, le proteste se iterate diventano una specie di parodia, non contengono gerarchie tra di loro, diventano un copione che manco ci fai più caso e forse è per questo che non riceve gialli per il comportamento, lo derubricano a lamentela e finisci per sottovalutarlo. Ma se Cuadrado e Handanovic dopo il fischio finale prima discutono in modo quasi civile e poi arrivano ad accapigliarsi, mi sorge un dubbio. Intendiamoci: può essere un’interpretazione psicologica dei fatti assolutamente superficiale, non motivata dal merito degli episodi, che hanno ragioni sempre più occasionali, fortuite e persino ironiche di quel che provano a trovare le grandi spiegazioni.

Però, mi si è accesa una lampadina vedendoli e prima di spegnerla ve la propongo: tanta tensione così, oltre a essere determinata da una rivalità lunga quanto sappiamo, è anche figlia di una gara dove non si è mai sfogata. Non ce n’è stato il modo, non ci sono stati troppi contrasti, non si è trovato quel sano sfogo che dovrebbe essere una gara a eliminazione diretta, anche se con la nuova formula sui gol in trasferta probabilmente c’è un retropensiero, l’idea che si possa anche rinviare al ritorno il momento della verità, i rischi maggiori e le conseguenti opportunità. Juventus e Inter si sono affrontate con lo stesso modulo (3-5-1-1 e 3-5-2 non sono molto diversi), si sono specchiate nella loro organizzazione tattica, nella ricerca della pulizia della manovra a costo d’inibire la velocità, linee di passaggio sempre prevedibili e mai troppe perché né noi né loro proponiamo un grande movimento senza palla.

Allegri ha ragione a definire il risultato giusto. Le occasioni sono state simili, nessuno ha fatto così tanto da avere anche solo fasi di netta superiorità sull’avversario. Ma non è questa l’ottica per guardare gli Juventus-Inter di quest’ultimo periodo, non lo sarà verosimilmente neanche quando ci ritroveremo a fine mese per decidere chi sarà la finalista. Non sarà mai una questione di chi farà di più meritandosi sul piano quantitativo di vincere, semmai di chi sa proporre meglio ciò che è in termini di solidità, concretezza, applicazione. Questo non toglie che non manchino motivi di rimpianto, anche perché presentarsi a San Siro avanti di un gol per una squadra come la Juve è un capitale che può fruttare di più di quel che sembra contenere un vantaggio minimo. Potevamo essere più definiti – e magari definitivi – nella prima fase dell’incontro, quando eravamo aggressivi nelle marcature (non nella pressione: quella basta vedere Vlahovic passeggiare in fase di non possesso per capire che non fa parte proprio delle caratteristiche della squadra, la può esercitare giusto in qualche momento). Dovevamo riuscire a mettere maggiormente in azione Rabiot (si doveva mettere lui, anche), quando è successo nella parte finale di gara se ne sono visti gli effetti. Forse non era il caso di sostituire Di Maria, che genera comunque idee come nessun altro e pure Fagioli, autore di un’altra prova di personalità. Infine, sarebbe bastato non commettere il mani di Bremer, uno sbrego su una partita ben condotta: conta molto, se non quasi tutto, quando ci si gioca molto sui dettagli e un errore di questo tenore a pochi secondi dalla fine lo avevamo già pagato l’anno scorso con Alex Sandro e c’era costato un trofeo.

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