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Lazio Juve: se insieme alla partita si perde il senso della realtà
Lazio Juve, la sconfitta dei bianconeri non è solamente nel risultato. In questo periodo si è perso anche il senso della realtà
Vorrei partire per commentare Lazio–Juventus da un paradosso. Anzi, la massima beffa, per non dire la condanna delle condanne, per un risultatista quale penso di essere. Come chiunque in una definizione corrente ci sta stretto ma tant’è, esiste e ci fa i conti. Perciò mi autoinfliggo e vi propongo la punizione più atroce che esista dopo Lazio-Juventus, chiusasi con la sconfitta all’ultima azione: fingere e commentare i 90 minuti più recupero, invero ben poco giochisti per restare nel campo delle categorie, facendo finta che sia finita 0-0. Cosa avrei scritto, in quel caso? Prescindendo dalla frustrazione che da tempo mi affligge vedendo le partite della Juve, dal senso di continua incompiutezza, talvolta persino dalla noia (che non dovrebbe proprio appartenere a un tifoso, mentre è del tutto legittima e persino doverosa nello spettatore neutrale, nell’osservatore che ha il diritto al divertimento, al gusto per la bella giocata, anche solo a un match combattuto e aperto.
Ebbene, avrei espresso il seguente concetto, a mezza voce: è andata bene, va bene così. Sarei stato fortemente orientato a questa lettura “minima”, perché un punto a Roma lo consideravo un bene a prescindere e maggiormente oggi, dove bisogna contarli uno per uno per arrivare all’obiettivo della partecipazione alla Champions League del prossimo anno. Avrei insistito tantissimo ancor più considerando la spinta emotiva arrivata dall’inizio dell’esperienza di Igor Tudor e avrei giustificato il tutto dichiarando apertamente che, a questo punto della stagione, ipotizzare una svolta nel nostro modo di essere è una pura fantasticheria, visto che finora siamo stati assolutamente coerenti nei nostri blocchi temporali: prima parte brutti e vincenti, granitici e tosti, sognatori di scudetti impossibili che sembravano forgiati in fabbrica invece che su un prato verde: testa bassa e mai uno sguardo al cielo, ma che razza di sogno era? E difatti, poi siamo diventati sempre brutti ma perdenti o al massimo pareggianti e perciò, vivaddio, viva uno 0-0. Avrei sostenuto che si era ottenuto il massimo delle nostre attuali possibilità tenendo conto che ci siamo presentati con un 4-3-3 abborracciato. Altro che venir incontro alla volontà popolare, è sembrato la messa in campo di un gruppo di giocatori unificati da una sensazione di disagio nel non essere nella posizione giusta (se poi noi abbiamo un modo giusto per proporre quel modulo con la rosa che abbiamo è un altro discorso, ma non l’avrei affrontato per non essere a mia volta impopolare). Una Juve che all’intervallo doveva necessariamente essere soddisfatta di non essere sotto visto che l’unica strategia d’attacco era stata il lancio per Kean, che doveva provare a tenere palla o ad allungare la squadra.
Poco brillanti anche sul breve, non capivamo fino in fondo l’aggressività della Lazio, tanto che Allegri lo percepiva, serrava ancor più i ranghi chiedendo un 4-5-1 e nel finale si riusciva persino a uscire un po’ dal guscio. Non quanto bastava per ritenere l’esperimento riuscito nel suo aggiustamento. E così, ripresa col tradizionale 3-5-2. Una buona partenza, poi il solito abbassarsi, per mancanze variamente distribuite (anche di idee) e per desiderio di 0-0. Che sarebbe stato un risultato buono tenendo conto di una constatazione che mi sembra difficilmente contestabile: la Juve sembra una squadra vecchia, sfibrata, con giocatori al termine del loro percorso, con un centrocampo improbabile che spesso vede proprio quelli che dovrebbero essere più esperto – Danilo, Locatelli e Rabiot – fallire facili appoggi, essere i primi a non credere per niente nelle loro possibilità o a crederci troppo da commettere errori grossolani, presumendo di essere quel che non sono, non sono più o non sono mai stati. Non è finita 0-0, come ben sappiamo. E quindi, il risultatista tutte queste parole sa che sono vane, inutili, assurde, sprecate. Ma a sentire Massimiliano Allegri a fine partita e a non sentire nessuno della società io non sono convinto che l’abbiano capito davvero che si sia perso. Per questo le ho scritte. Per ricordarmi che è così che stanno ragionando. E la cosa mi preoccupa un po’ quando oltre alle partite si perde il senso della realtà.