Evra: «Nove anni di United una VACANZA rispetto alla Juve»
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Evra: «Nove anni di United una VACANZA rispetto alla Juve. SCONFITTA in finale con il Barcellona? Per me il MOTIVO fu QUELLO»

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Patrice Evra, ex terzino della Juve, torna a parlare del suo passato con alcuni episodi a tinte bianconere: le sue dichiarazioni

Patrice Evra è tornato a raccontare alcuni retroscena sulla sua esperienza alla Juve in un’intervista concessa a Stick to Football.

POGBA – «Gli dicevo: smettila di pensare che la gente ti odia, è perchè tu li rendi frustrati. Sei un animale, quando parti box to box nessuno può fermarti. Sapete quante volte Allegri non voleva farlo giocare? Poi magari lui segnava un gol e veniva esaltato anche se aveva giocato male. È per questo che ho voluto allenarlo mentalmente. Posso fare l’esempio di quando ha giocato per la prima volta contro il Liverpool. La sera prima della partita ero in collegamento FaceTime con lui e ho visto molte persone nella sua stanza e lui stava firmando le magliette, così gli ho chiesto se era pronto per la gara e lui mi ha risposto di sì. Ricordo che è stato una dei peggiori match che ha giocato, così ho parlato con lui dopo la gara e mi ha detto che avevo ragione e che non era concentrato». 

DIFFERENZE TRA JUVE E MANCHESTER UNITED – «Sarò onesto, nove anni allo United sono stati come una vacanza rispetto alla Juventus! L’intensità del lavoro, di quelle sessioni di allenamento, è stato qualcosa che non avevo mai sperimentato prima nella mia vita. Dovevamo correre 4 km al giorno. Zidane (nei suoi anni) ha detto di aver visto giocatori vomitare in campo durante l’allenamento. L’ho visto anche io e loro hanno dovuto comunque finire le loro corse. Dopo le partite di Champions League, anche allora, abbiamo fatto intense sessioni in palestra. Dopo le gare a Manchester i giocatori avevano un buffet, ma in Italia mi portavano una porzione grande e agli altri giocatori una porzione più piccola. Così ho preso Pogba e l’ho portato in cucina e abbiamo visto che le foto di ogni giocatore erano codificate a colori per dare loro porzioni diverse. Ogni due settimane facevamo le analisi del sangue, volevano sapere cosa mangiavi e andavano persino a casa tua per dire a tua moglie o allo chef cosa cucinare. Venivi multato se disobbedivi. Per me è stato fantastico ma non siamo riusciti a trovare il giusto equilibrio».

FINALE DI BERLINO – «Per me prima della finale di Champions League contro il Barcellona, il modo in cui ci siamo allenati ci ha fatto arrivare stanchi. Ci guardavano in campo e durante l’allenamento ci dicevano di andare più veloce, erano in giro per il campo con i computer. Tevez è stato un bastardo. Ha detto vieni, è fantastico qui, ma non mi ha detto niente che sarebbe successo questo. Il primo giorno ho visto gente con le valigie e sono rimasto confuso perché l’Apache non mi aveva detto che per le prime due settimane avremmo alloggiato nell’hotel della squadra. Gli ho chiesto perché non mi avesse parlato dell’intensità e lui ha detto “Volevo che qualcuno morisse con me là fuori”. Avevo 33 anni, quindi ho lottato i primi mesi, ma dopo mi sentivo come se potessi distruggere tutti. Il giorno della partita facevamo una vera e propria sessione di allenamento. A dire il vero, quando ho visto quella squadra sapevo che avremmo vinto il campionato e saremmo andati almeno in semifinale di Champions League, ma non ho potuto dirlo per superstizione. Ringrazio loro perché hanno allungato la mia carriera e senza di loro non avrei giocato fino a 38 anni».

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