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Weah: «Sono pronto, lavoro per dare il meglio. La Juve gioca sempre per vincere, con il Milan ho queste sensazioni»

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Weah, attaccante bianconero, ha parlato così in un’intervista concessa a Il Giornale: le dichiarazioni dell’americano

Timothy Weah, attaccante della Juve, ha parlato in un’intervista a Il Giornale. Le dichiarazioni del giocatore bianconero.

RUOLO E SENSAZIONI – «Sono pronto. Lavoro per questo, per dare sempre il meglio. E il ruolo non mi spaventa, ho giocato tante volte centravanti nel PSG, poi fu Emry a spostarmi esterno, per sfruttare la mia velocità. La fascia sinistra, perché posso rientrare e calciare col destro. Ma gioco dove mi dicono che serve». 

SFIDA CON LEAO E GLI ALTRI ROSSONERI – «Rafa è un fenomeno, un giocatore fortissimo. Diciamo che da centravanti questa fatica dovrei scamparla! Con Maignan ho vinto la Ligue 1, con Fonseca ho lavorato, Pulisic campione, Leao un fenomeno, ma a loro toglierei Reijnders».

ASSENZA DI BREMER – «Bremer era un giocatore unico, non solo per voi. Credo nella forza di squdra, nel lavoro del gruppo. Gli infortuni sono penalizzanti, ma non saranno decisivi. Tutti a cominciare dall’allenatore sappiamo di dovere dare il 110%, proprio perché ci sono compagni che non possono giocare».

PARI CON L’INTER – «Noi siamo la Juventus e sinceramente credo che quel risultato abbia fatto più impressione fuori che dentro lo spogliatoio. La Juventus gioca sempre per vincere e un pareggio, anche contro una squadra forte come l’Inter, è una mezza sconfitta».

GIOCARE PUNTA – «Certo le mie caratteristiche sono differenti da quelle di Dusan, che è un professionista pazzesco, bravissimo in tutte le cose che fa. Lavora sempre al massimo, dal campo alla palestra». 

DIFFERENZE CON L’ANNO SCORSO – «Siamo più giovani, ma anche più forti. Abbiamo delle notevoli potenzialità. Dobbiamo lavorare e pensare a fare del nostro meglio, a fine stagione vedremo dove siamo arrivati».

FAVORITA – «La squadra favorita per il campionato? La Juventus».

LOTTA AL RAZZISMO – «Gli stadi italiani sono peggiori. Ricordo bene cosa è capitato a Maignan un anno fa, ma gli episodi sono anche altri, meno conosciuti. Fuori, personalmente non ho mai vissuto esperienze negative, ma io sono visto innanzi tutto come un calciatore». 

LA FAMIGLIA – «Per me è papà, non George Weah. So che è un mito, anche se l’ultima volta che è venuto a Torino, siamo usciti e dei tifosi hanno chiesto il selfie a me e non a lui, erano giovani e non l’avevano riconosciuto. Ci sentiamo sempre, guarda tutte le mie partite insieme con la mamma».

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