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Gaetano Scirea, libero gentiluomo

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Gaetano Scirea, uomo simbolo della Juventus, non solo per le partite giocate e per i premi vinti, ma soprattutto perché icona di stile e signorilità. Un modello di riferimento, ancora oggi difficile da eguagliare

Tante definizioni sono state date di Gaetano Scirea, ma una più di tutte rivela l’essenza di questo fuoriclasse: “libero gentiluomo”. Libero, perché era il suo ruolo all’interno della squadra: quel numero sei riservato al regista della difesa, all’uomo libero da marcature fisse, che interveniva in seconda battuta sugli avversari. Un ruolo scomparso nel calcio moderno, dove le squadre difendono a zona, sfruttando la tecnica del fuorigioco. Ma libero anche perché, volendo rendere il suo ruolo una metafora più allargata, lui incarnava la libertà in campo, intesa come assoluta capacità inventiva, nel pieno rispetto del gioco di squadra e della lealtà verso gli avversari.

Era nato a Cernusco sul Naviglio, nel milanese, il 25 maggio 1953, da una modesta famiglia di origini siciliane. Il padre era operaio alla Pirelli e anche il giovane Gaetano, fino all’approdo in serie A, lavorerà come tornitore nell’officina dello zio. Aveva il senso del dovere e del sacrificio, rispettoso del lavoro come obbligo morale. Che si trattasse di lavorare al tornio o di scendere in campo, Gaetano non si risparmiava e anteponeva abnegazione, ferrea volontà e precisione.

A quattordici anni esordisce nelle giovanili dell’Atalanta, dove gioca prima come ala destra e poi come centrocampista, distinguendosi subito per l’ottimo tocco di palla e per la capacità di gestione globale del gioco. Passato poi alla Primavera della squadra nerazzurra, l’allenatore Castagner gli assegna il ruolo di libero a fianco dello stopper Antonio Percassi, futuro presidente dell’Atalanta, e con questa nuova collocazione Scirea comincia inconsapevolmente a inventare il suo futuro, con quello stile e quelle modalità di gioco che lo porteranno a trionfare in Italia e nel mondo.

Nel 1972, a diciannove anni, c’è il suo esordio in serie A con la squadra bergamasca. All’inizio sostituisce un giocatore infortunato, poi diviene titolare a tutti gli effetti, alternandosi nel ruolo di libero e in quello di mezz’ala a seconda delle necessità. Si ferma anche l’anno successivo, quando l’Atalanta retrocede in serie B. Questa volta, consacrato definitivamente come “libero”.

Il suo destino, però, non tarda a manifestarsi: da un po’ la Juventus lo sta osservando e, grazie al canale privilegiato che intercorre con l’Atalanta, nell’estate del 1974 lo acquista per 700 milioni di lire. Gaetano Scirea sembra subito a proprio agio nella squadra bianconera: gioca 28 delle 30 partite del campionato 1974-1975, in una super-difesa da record (tra gli altri, Cuccureddu e Gentile), e si aggiudica il suo primo scudetto. Il sedicesimo nella storia della Juventus.

Gaetano Scirea

Gaetano Scirea – Supercoppa UEFA 1984

Ma la storia tra Gaetano Scirea e la Juventus è appena iniziata. Un amore destinato a durare, anche oltre la morte di questo campione dei campioni. In tutto Gaetano Scirea vestirà per 552 volte la maglia bianconera, 377 in campionato, vincendo sette titoli di Campione d’Italia, 2 Coppe Italia e totalizzando 32 reti. Nel 1981-1982 Scirea c’è, quando la Juventus vince il ventesimo scudetto e può fregiarsi della seconda stella sulla maglia. Nel 1985, con la fascia da capitano, porta la squadra a vincere la tanto sospirata (e meritata) Coppa dei Campioni, ma la vittoria è macchiata dal sangue dei morti allo stadio Heysel, nella tragica finale contro gli Inglesi del Liverpool.

Nel 1975 Scirea era anche stato accolto nella Nazionale, affermandosi con 78 presenze e 2 gol. Con il commissario tecnico Bearzot diventerà titolare fisso e, dopo aver sfiorato per ben due volte il titolo mondiale, finalmente nel mitico Campionato di Spagna del 1982 l’Italia conquista la vittoria. Scirea è campione del mondo e può sollevare la coppa con tanti amici e compagni della Juventus: da Gentile a Cabrini, da Tardelli a Paolo Rossi. Campionissimi da urlo, l’urlo azzurro di Tardelli che risuona in tutto il mondo, quella sera. Al campionato successivo, nel 1986 in Messico, Gaetano Scirea è capitano, ma questa sarà per lui l’ultima competizione con la squadra azzurra, fine segnata anche dall’eliminazione dell’Italia agli ottavi di finale.

La fine dell’avventura azzurra sarà poco più avanti seguita dalla conclusione della sua carriera da calciatore. Una carriera mai macchiata da un’espulsione, a riprova del suo stile: un misto di correttezza, eleganza e fair play. Nel 1988, a trentacinque anni, Gaetano Scirea decide di ritirarsi dal calcio giocato. Per lui inizia un nuovo capitolo della sua storia bianconera, quello da allenatore. Umile e disponibile com’era, Gaetano Scirea accetta di affiancare l’ex compagno Dino Zoff nella Juventus di Giampiero Boniperti, come tecnico in seconda. Accetta di buon grado il ruolo di osservatore per conto dell’allenatore friulano, rifiutando anche ingaggi che sicuramente gli avrebbero riservato un ruolo più da prima pagina. Pur di rimanere alla Juventus e nella sua amata Torino.

È stato proprio questo ruolo da osservatore ad essergli fatale. Agli inizi di settembre del 1989, un anno dopo avere appeso le scarpe coi tacchetti, Gaetano Scirea viene inviato dalla dirigenza bianconera in Polonia. Il suo compito è quello di visionare una partita della prossima rivale della Juventus in Coppa UEFA, la squadra polacca del Górnik Zabrze. Ritornando verso l’aeroporto di Varsavia, la Fiat 125 Polski su cui viaggia insieme con altre tre persone urta violentemente un furgone, forse in seguito a un sorpasso azzardato. L’auto sbanda, ma di per sé l’impatto non sarebbe letale, se non fosse per l’incendio divampato subito dopo. Il cofano posteriore, infatti, è stracolmo di taniche di benzina che immediatamente vanno a fuoco. Una precauzione dell’autista per non perdere tempo a far rifornimento, che però si trasforma in un’atroce condanna a morte. Per Gaetano Scirea, la sua interprete ventisettenne e l’autista non c’è nulla da fare: muoiono nel rogo, a causa delle ustioni. Solo un dirigente del Górnik, seduto sul sedile anteriore, riesce a liberarsi dalla trappola.

È il 3 settembre del 1989, una domenica, giornata solitamente dedicata al gioco del calcio. Questa coincidenza sembra una beffa del destino, oppure un omaggio dello stesso destino a chi tanto ha donato al mondo del calcio. La notizia viene data in diretta televisiva da un visibilmente commosso Sandro Ciotti, nel corso della trasmissione “La domenica sportiva”. C’è anche Marco Tardelli, che non riesce a pronunciare sillaba e abbandona lo studio.
Tutto il mondo sportivo partecipa al lutto dei famigliari: la moglie Mariella Cavanna, sposata tredici anni prima, e l’allora dodicenne Riccardo, unico figlio della coppia. Alla fine della stagione 1989-1990, Zoff e la squadra dedicano alla memoria di Gaetano Scirea la Coppa Italia vinta in finale contro il Milan.

Gaetano Scirea è sepolto nel cimitero di Morsasco, piccolo comune dell’alessandrino e luogo di nascita di Mariella. Il figlio Riccardo nell’estate del 2016 si diploma allenatore a Coverciano, sulla scia dell’esperienza paterna. Perché lo stile Scirea continui a irradiare professionalità e buon gusto.

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