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Borussia Dortmund-Juve e quella maledetta finale persa
Borussia Dortmund-Juve e quella maledetta finale persa. Ecco il ricordo di quell’ultimo atto della Champions League 1996-1997
La Juventus ha un rapporto conflittuale con la Champions League. Nella storia è riuscita a portarne a casa due ma il numero avrebbe potuto essere molto più alto. I bianconeri, infatti, detengono il record di finali perse: ben sette sulle nove complessivamente disputate. L’ultima vinta risale al 1996 allo Stadio Olimpico di Roma con i bianconeri, allora allenati da Marcello Lippi, che riuscirono ad imporsi sull’Ajax ai calci di rigore con il penalty decisivo trasformato da Vladimir Jugovic. Dopo di allora sono arrivate soltanto delusioni, anche se in diversi casi il club piemontese si rese protagonista di percorsi estremamente brillanti prima di perdersi all’ultimo passo. Sia con lo stesso tecnico di Viareggio che in seguito con Massimiliano Allegri, la Vecchia Signora ha sempre e solo sfiorato quella coppa dalle grandi orecchie tanto desiderata da ogni sportivo e considerata come l’apice assoluto nella carriera di ogni singolo calciatore, seconda solo alla Coppa del Mondo per nazionali. Tra le diverse finali perse quella che brucia di più, probabilmente, ad ogni tifoso juventino, è quella con il Milan arrivata fino ai tiri dal dischetto e con il rimpianto dell’assenza di Pavel Nedved che vinse poi il Pallone d’Oro pochi mesi dopo. Ci sono stati, però, altri casi nei quali la Juventus partiva nettamente favorita rispetto all’avversario di turno salvo crollare misteriosamente quando si arrivava al clou. Più di tutte bisogna risalire a quella del 28 maggio 1997 quando Madama si fermò dinanzi ad un modesto Borussia Dortmund ma ricco di ex qualcuno dei quali col dente avvelenato.
Il percorso delle due squadre fino a Monaco di Baviera
Correva l’anno 1997, da un po’ di tempo ormai si iniziavano a vendere i primi cellulari per ragazzi. All’epoca servivano solo per comunicare, nessuna ripresa né comunicazioni istantanee via social. Al limite un messaggino o il classico squillo per far capire all’interlocutore del proprio interesse. Le immagini sono quelle che sono e non c’era nessuno che commentava in diretta sul web la gara. All’Olympiastadion di Monaco di Baviera andava in scena la finale tra il Borussia Dortmund e la Juventus con i bianconeri, detentori del titolo, nettamente favoriti. I tedeschi si erano qualificati come secondi nel proprio girone alle spalle dell’Atletico Madrid per poi superare nel proprio cammino ostacoli come Auxerre e Manchester United. I bianconeri, invece, avevano gestito alla perfezione un gruppo non semplicissimo andando addirittura ad espugnare lo storico impianto dell’Old Trafford (prima volta per una squadra italiana). Ai quarti di finale era poca cosa il Rosenborg per poter impensierire la Vecchia Signora e neppure l’Ajax ci riuscì nel doppio confronto della semifinale che doveva essere per i lancieri l’occasione per vendicarsi della finale persa l’anno precedente. Insomma, la tavola era bella apparecchiata per la terza Coppa dei Campioni della Juventus. Che, però, al momento di sedersi e gustarsi il piatto, venne clamorosamente meno.
Bianconeri in bambola, Riedle li punisce
Nella Juventus sorprese la scelta di Marcello Lippi di rinunciare ad Alex Del Piero, non in perfette condizioni, dal primo minuto di gioco. Davanti toccò quindi a Boksic e Bobo Vieri formare la coppia d’attacco con Zizou Zidane alle loro spalle. A centrocampo, in questa formazione a ritroso, trovarono spazio Di Livio, Deschamps e Jugovic mentre la difesa era quasi tutta italiana con Peruzzi in porta, Ferrara, Iuliano, Porrini e l’unica eccezione rappresentata da Paolo Montero. Nel Borussia Dortmund, che mai prima di allora era stato capace di vincere la Champions, nessuna sorpresa di formazione. I gialloneri, semmai, puntarono sulla voglia di rivincita dei grandi ex bianconeri come Paulo Sousa schierato in cabina di regia, dei difensori Jürgen Kohler e Stefan Reuter, del trequartista Andreas Möller. Tra gli altri ci sarebbe stato anche il brasiliano Júlio César, non impiegato però in quella maledetta sera. Dopo tre minuti i piemontesi reclamarono un calcio di rigore, negato dal direttore di gara, l’ungherese Sàndor Puhl. Alla mezz’ora i Prussiani passarono in vantaggio con Riedle, complice un’uscita errata di Angelo Peruzzi. Cinque minuti dopo arrivò anche il 2-0, sempre per opera dello stesso Riedle ma stavolta su colpo di testa. La reazione della Juve si fermò al palo di Zidane e alla rete annullata di Vieri.
L’ingresso di Del Piero e la reazione tardiva
Nella ripresa Marcello Lippi cambiò radicalmente il volto della sua Juve: dentro Del Piero e fuori Porrini per un atteggiamento decisamente più spregiudicato. L’ingresso di Pinturicchio portò effettivamente alla reazione auspicata: venti minuti e un gol di tacco destinato ad entrare negli annali del calcio. Lo stesso numero 10 della Juventus si vide negato un calcio di rigore che avrebbe potuto sancire il 2-2 e la rimonta completata. L’arbitro però ebbe idee diverse e così nel riversarsi in attacco per cercare disperatamente il pari, i bianconeri scoprirono il fianco al contropiede del Borussia Dortmund che con Lars Ricken, entrato nel secondo tempo al posto dello svizzero Chapuisat, chiuse definitivamente i giochi tra l’incredulità generale del tifo juventino. Ancora una volta Peruzzi, non impeccabile, incappato nella classica serata storta con due pallonetti subiti che testimoniano un posizionamento non perfetto per il forte numero uno della Juventus. A distanza di tempo lo stesso Ricken dichiarò di essere entrato col pensiero di beffare il portierone di Blera. Non bastò l’ingresso in campo di Del Piero e neppure i successivi di Tacchinardi e Amoruso. Come fosse scritto nel destino la Juve quella partita la perse. Chi accusò proprio Peruzzi, chi se la prese con Lippi per la rinuncia a Del Piero dal primo minuto, chi invece mise al centro del mirino una direzione di gara tutt’altro che impeccabile. Fatto sta che il Borussia si aggiudicò per la prima volta il trofeo e la Juve iniziò proprio con quella gara un digiuno europeo che dura ancora oggi. Per i tanti ex in campo la vittoria ebbe il sapore della rivincita, scaricati forse frettolosamente dalla Vecchia Signora nella quale pure avevano trovato gloria e trionfi. Alla Juve non rimase che il rimpianto per un match maledetto dal primo all’ultimo minuto, con la convinzione che se l’avesse giocata altre dieci volte l’avrebbe rivinta praticamente sempre. Purtroppo il calcio non offre questa possibilità.