Hanno Detto
Buffon si racconta: «Mai capito l’espulsione contro il Real. Scommesse? Ci ho messo la faccia. La Juve, Ronaldo e l’Avvocato…»
Gianluigi Buffon ripercorre la sua carriera, dagli inizi fino all’apice, riattraversando anche i momenti meno belli
Gianluigi Buffon, bandiera ed ex capitano della Juventus, si è raccontato così in un’intervista allo speciale del Tg1 Buffon senza rete.
IL MIGLIOR ALLENATORE – «In trent’anni di carriera ho avuto i migliori allenatori e citarne uno non sarebbe bello. Dopo Nevio Scala, mi sono consacrato come primo al Parma grazie ad Ancelotti. E’ una persona con un’umanità speciale, con lui vai per forza di cose d’accordo. Mi ricordo anche Lippi, Capello e Prandelli, ma anche Conte e tutti gli altri. Poi c’è Trapattoni che è stato il mio vero idolo da bambino, quando allenava la Juve mi innamorai della sua figura seguendo la squadra. Ogni volta che si muoveva lo seguivo particolarmente, anche all’Inter o al Bayern».
LA PARATA PIU’ DIFFICILE – «In questi anni ho sempre pensato di sminuire quella su Zidane, se escludiamo l’importanza della gara non era così difficile per me. Recentemente l’ho rivista e devo dire che è stata bella, lui con la testa ha dato al pallone una potenza incredibile».
PALLONE D’ORO – «Le ingiustizie sono altre. Per il ruolo che ho ricoperto ho attraversato più generazioni e per vincerlo dovevano incastrarsi determinate situazioni in una certa maniera. Magari anche io non sono stato bravo a farle accadere. però sono soddisfatto di quello che ho fatto. Potevo fare meglio, ma c’è sempre un qualcosa di inespresso in tutto quello che uno fa».
LA CARRIERA – «Penso di aver vissuto nel miglior modo possibile, il Mondiale vinto è stato l’apice. Qualcosa di talmente grande, ti dà l’opportunità di viverlo con la gioia di quel momento. La tensione, le responsabilità e tutto il resto scavalcano anche le emozioni positive. Non vedevo l’ora finisse dai quarti in poi, il peso delle partite era soffocante. La sliding doors della mia vita è stata nel 1990 quando ho cambiato ruolo, mi ero preso una cotta per il portiere. Ero un ragazzino ma non ero più giovane: diventai portiere a 12 anni, a 17 l’esordio in Serie A. Qualcosa di allucinante giocare quel Parma-Milan. Ho giocato per tante ragioni soprattutto per obiettivi personali e anche per valori come la riconoscenza e poi per sfidare i limiti. Volevo vedere fino a che punto sarei riuscito ad arrivare».
L’AVVOCATO – «Erano molto singolari le sue telefonate all’alba. A due non ho risposto, lui si chiedeva sempre perchè non rispondessi alle 5.30 di mattina. Una sorta di provocazione, io sono sempre stato al suo gioco».
RONALDO – «Dopo il suo gol in rovesciata i tifosi della Juve si sono alzati ad applaudirlo, un gesto di grande sportività. Lui mi ha visto incredulo e si è avvicinato dicendomi “Non male è Gigi?”. Lì mi sono messo a ridere».
ESPULSIONE AL RITORNO – «L’espulsione non mi ha ferito quanto quel rigore concesso nel recupero di una rimonta epica. Senza dubbio la più bella gara a cui ho partecipato, poteva entrare nei libri di storia. Ancora adesso non ho capito perché mi ha espulso, ma ormai ne è passato di tempo».
DEPRESSIONE – «Avevo 25 anni. I segnali sono stati quelli di una grande pigrizia mentale e fisica. Sono sempre stato uno entusiasta e qualche giorno di down me lo sono sempre concesso, ma questa era una cosa che si allungava nel tempo. Mi sono impaurito perché mi ero accorto di non essere più il Gigi che conoscevo. Ho provato a darmi una mano in modo naturale, ovvero parlando con le persone più care, nascondendo qualsiasi tipo di pudore. Il primo passo verso l’uscita di questo buco nero è stato andare alla mostra di Chagall a Torino. Una cosa che mi ha dato energia positiva, soprattutto il quadro della passeggiata dove ho capito che la figura di una donna, come può essere una madre o una moglie, possono aiutarti a farti capire il valore delle cose».
CASO SCOMMESSE – «Ho pagato in prima persona a caro prezzo, ci ho sempre messo la faccia. E’ stata una cosa che mi ha fatto crescere. Solo in quel momento capisci gli errori che fai, perchè li fai e capisci che non devi ripeterli».