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Busti: «La Juve un pianeta ideale per crescere. Lupatelli…» – ESCLUSIVA
Alessandro Busti, ex portiere della Juve, ha rilasciato un’intervista in esclusiva a Juventus News 24. Le sue dichiarazioni
Una giovane carriera contrassegnata, in maniera indelebile, dai colori bianconeri per Alessandro Busti. La divisa del Lascaris, squadra dilettantistica della provincia di Torino in cui il portiere ha mosso i primi passi all’età di 9 anni, prima del passaggio alla Juve l’anno successivo. Dai 10 anni fino ai 19 all’ombra della Mole per il giocatore italo-canadese che, dai Pulcini fino all’Under 23, ha intrapreso un percorso di crescita importante in quel di Vinovo. L’estate scorsa, però, l’estremo difensore classe 2000 ha lasciato la Juve da svincolato, scegliendo il Belluno in Serie D come nuova tappa della sua giovane carriera. Busti ha parlato – in esclusiva a Juventus News 24 – della sua esperienza in bianconero, tra i ricordi legati a compagni di squadra, allenatori ed emozioni tra i grandi.
Alessandro, la tua esperienza alla Juve è iniziata già all’età di 10 anni. Su di te c’era anche l’interesse del Torino: cos’ha influito maggiormente nella tua scelta di vestire la maglia bianconera?
«Ho scelto la Juve per il suo fascino, per il fatto che si tratta di una delle società più importanti d’Europa e di tutto il mondo. Da piccolo, fin dal momento in cui ho visitato la struttura di Vinovo, mi sembrava un mondo a parte. Era tutto molto professionale, a partire dagli allenatori, quindi per questo motivo ho preso la decisione. Mi sembrava di essere in un altro pianeta…».
Dai Pulcini fino ad arrivare alla Serie C con l’Under 23: una crescita importante per te alla Vecchia Signora. Se dovessi pensare ad una parata che ti è rimasta più impressa, quale ti viene in mente?
«Quando ero negli Allievi Nazionali, ho fatto una parata importante in un derby contro il Torino. La partita è terminata poi 3-3, però ho compiuto un bel gesto tecnico su un colpo di testa ravvicinato. Era una partita molto sentita contro il Torino, per cui quella parata mi è rimasta impressa».
Parlando degli allenatori, invece, che hanno accompagnato il tuo cammino alla Juve, come li descriveresti?
«Grabbi trasmetteva carisma e grinta nello spogliatoio, mi piaceva molto sotto questo aspetto. Grosso? Con lui salivo ogni tanto dall’Under 17. Rappresenta una figura importante per il calcio italiano e, a livello di allenatore, è una grandissima persona con dei sani principi di gioco. Con Dal Canto, invece, non è stata una stagione semplice, ma ha contribuito molto alla mia crescita. È un allenatore che aveva tanta voglia di dimostrare, e ci ha trasmesso le sue idee e i suoi valori di gioco nell’arco di quella stagione. All’ultima stagione, con Zironelli, era il primo anno di nascita della Juventus U23, per cui era una situazione nuova per tutti. Ha instaurato un buon rapporto con noi, posando l’attenzione ogni giorno sulla preparazione attraverso anche dei video. Più ti avvicini al professionismo e più questi aspetti diventano importanti».
Con i loro consigli e il prezioso lavoro svolto nel quotidiano, però, hai avuto la possibilità di crescere molto con i vari allenatori dei portieri. Quali ti hanno aiutato di più nel tuo percorso di maturazione?
«Lupatelli è stato colui che ha svolto un lavoro più significativo con me negli ultimi due anni alla Juve, portandomi ad un livello diverso di maturazione. Mi ha aiutato nelle piccole cose, stando molto attento ai dettagli vista anche la sua esperienza da giocatore ed è stato il migliore che ho avuto. A Torino si può contare sui migliori preparatori dei portieri d’Italia: da Borri a Micillo, poi Baroncini, sono stati importanti anche loro».
Proiettando lo sguardo in direzione dei compagni di squadra, chi ti viene in mente se ti dico…
«Il più forte? Senza dubbio Moise Kean. Ci stupiva sempre, faceva la differenza e segnava sempre anche contro i più grandi. Era davvero fortissimo. Il più divertente? Zanandrea e Olivieri. Lo scorso anno in Under 23 erano i più divertenti, ma tutti quelli con cui ho giocato nell’ambiente Juve si sono dimostrati dei bravi ragazzi. Il più stakanovista? Del Prete. Era sempre in palestra, prima e dopo gli allenamenti: era il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. Aveva proprio la mentalità da professionista. Anche Nicolussi Caviglia era proiettato su questo aspetto, con tanta voglia di migliorarsi ogni giorno per arrivare ad alti livelli. Bisogna avere fame per raggiungere importanti traguardi. Il più carismatico? Sempre Del Prete lo scorso anno faceva sentire la sua voce nello spogliatoio da vero capitano».
Nel tuo ultimo anno in bianconero, sei stato aggregato all’Under 23. Qual è stato il tuo approccio con il calcio professionistico? Quali differenze hai notato rispetto al settore giovanile?
«Le differenze principali riguardano la velocità e il ritmo dei giocatori. Come si muove la palla, l’intensità è molto più alta rispetto al settore giovanile. È un gioco più fisico, più veloce, in cui hai poco tempo per pensare prima di agire. Più sali di categoria e più cambiano gli approcci alle partite».
Alla Juve hai avuto anche la possibilità di allenarti con la Prima squadra. C’è qualche giocatore in particolare che ti ha dato dei consigli? Ricordi qualche momento speciale?
«Mi ricorderò sempre il mio primo allenamento. Avevo 16 anni ed ero entrato in campo prima di tutti, quando ho visto arrivare Buffon, Neto e Audero. Allenarmi con loro è stato incredibile: mi davano dei consigli su come muovermi in porta, su come prendere posizione. ‘Non ti preoccupare, stai tranquillo’ mi dicevano se sbagliavo: non è facile per un ragazzino salire in prima squadra. Mi incoraggiavano, e io avevo tanta voglia di dimostrare».
Il 16 ottobre del 2018 hai fatto l’esordio nella Nazionale maggiore del Canada a soli 17 anni nel 5-0 contro la Dominica. Quali ricordi conservi di quella partita?
«Non pensavo di giocare e, quando ho ricevuto la notizia, ero emozionatissimo. Sono uno dei ragazzi più giovani ad aver esordito nella Nazionale maggiore quindi per me è stato un onore. Davanti a 20mila spettatori è stata un’emozione indescrivibile. Per un ragazzino di 17 anni, essere chiamato dai grandi fa effetto, mi sentivo quasi un bambino in mezzo agli adulti. Ero un po’ spaesato, ma devo tantissimo al Canada per quello che ho vissuto. Spero in futuro di ricevere nuove chiamate».
Si ringrazia Alessandro Busti per la disponibilità e la cortesia mostrate in questa intervista