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Cagliari Juve: far finta di essere sani

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Cagliari Juve: far finta di essere sani. L’editoriale di Paolo Rossi dopo il pareggio in rimonta dei bianconeri per 2-2

Quando si ragiona della Juve di Allegri, ci si concentra prevalentemente sui suoi deficit di gioco, sulla diffusa mancanza di valore tecnico della rosa o su un impasto dell’uno con l’altro se si vuole attribuire collettivamente le responsabilità. Tutto sensato, ovviamente, a maggior ragione arrivati a questo punto della stagione. Probabilmente, però, c’è un altro aspetto che andrebbe indagato, con la saggezza dello psicologo e la passione del tifoso: i sentimenti. La vogliamo dire diversamente? Quel che si respira dentro un ambiente, un gruppo, una squadra. E una società, intanto. Perché quel che senti dentro, ti muove. Non basta, ovvio, guai a chi vede il calcio solo con categorie tutte caratteriali, come se solo la determinazione, la grinta, eccetera. Nel cuore della Juve, però, oggi cosa c’è?

Provo a dare tre indicazioni. Sono piste di lettura, non risposte, ci mancherebbe altro. Ma sono radiografie dell’anima (credo) prima del fischio d’inizio di Cagliari-Juventus.
1) La soddisfazione. Mi rifaccio a ciò che esprime Giuntoli prima che la gara inizi: «Noi siamo contenti del mister, sta facendo un grandissimo lavoro con i ragazzi come già da un po’ di tempo». In questi ultimi due mesi, di risultati sconcertanti, di una sequenza che ci ha fatto passare dal cullare il sogno scudetto a fare di calcolo step by step per riuscire a qualificarci alla Champions, mai nessuno ha provato a dire altro. Come se non fossimo in crisi. Come se le singole tappe non contassero, non preoccupassero, non facessero pensare a un lento sfarinamento. Mai un accenno, semnai un ritiro più o meno normalizzato a parole prima di Juventus-Genoa. Ma il corollario di questo atteggiamento non è la negazione della realtà?

2) L’inquietudine. Mi sono chiesto se dopo il derby in qualcuno della squadra ci fosse una valutazione allarmata di quel che stava succedendo. Perché quel che si era visto era stato sconcertante, ancorché fatto passare – per l’appunto – come il passettino alla volta per centrare l’obiettivo. Era stata una sfida pessima, uno 0-0 brutto e in calando, con sensi di colpa per i gol mangiati. E forse pure l’Allegri negazionista che ormai conosciamo aveva colto qualcosa, se a Cagliari ha deciso di cambiare qualcosa dell’undici di partenza. Non il modulo, ma gli uomini. Con gli effetti che si sono visti: peggiorando la situazione.

3) La serenità. La settimana europea ci ha regalato il lusso del quinto posto utile per la qualificazione. Pertanto, con un margine di vantaggio amplificato, si sarebbe potuti scendere in campo con una serenità avuta in dono dal contesto, visto che non ce l’ha data neanche le recenti prestazioni quando si è vinto. Troppe incertezze, troppe pause, troppa fragilità per sentirsi calmi. Ma ieri no, con una vittoria si poteva persino riaprire la questione del secondo posto, che non sarebbe un dettaglio trascurabile in una stagione così spaccata in due. Invece, la Juve del primo tempo è stata semplicemente la peggiore dell’anno. Tanto da indurre molti, ragionevolmente, a pensare che se si fosse replicata anche nella ripresa forse l’esperienza di Allegri sarebbe finita anzitempo. Che insomma, si riconoscesse uno stato di emergenza e si tagliasse il cordone ombelicale con l’allenatore, anche per vedere la reazione dei giocatori.

La totale frustrazione della prima ora alla Domus Arena si è un po’ mitigata nel 2-2 finale. Fino alla punizione capolavoro di Vlahovic, unico sorriso della serata, la Juve è stata semplicemente un fantasma. Sparita dal campo, anche prima del 2-0 (il cui rigore è un manifesto del nostro sbandamento a campo lungo) già si era rischiato di prenderlo. Una gara che ha assunto proporzioni umilianti in ogni più piccolo aspetto, Siamo stati inermi, svuotati, approssimativi, senza punti di riferimento. Il 4-3-3, il 4-2-4 disperato, tutto ciò che poi c’è stato nella ripresa, ha avuto un’influenza per determinare il pareggio molto minore dall’avere ritrovato un sentimento quasi indefinibile in un solo termine: un’embrione di volontà nel provare la rimonta, quello ha contato molto più che l’aggiustamento tattico o la crescita tecnica. Anche solo per un punticino da mettere con tutti gli altri, bisogna anche solo regalarsi l’impressione di esserci. Come cantava Giorgo Gaber – che era interista, ma era Giorgio Gaber! – almeno far finta di essere sani.

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