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Coppa Italia: una Juve senza tempo
Coppa Italia: una Juve senza tempo saluta un’altra competizione ai danni dall’Inter di Simone Inzaghi
Siamo abituati a raccontare il calcio come un romanzo a puntate. Come una grande serie, nella quale ogni dettaglio ha un senso e ne fa acquistare di più profondi, appassionanti e perfino sorprendenti a quelli successivi. Per fare un esempio: ci siamo avvicinati a Inter–Juventus con le tensioni della gara con il Napoli, le polemiche arbitrali ad essa collegate, il caso Lukaku, le risse dell’andata della semifinale di Coppa Italia, le discussioni sull’ultima gara giocata a San Siro. E perfino, l’anniversario di Iuliano-Ronaldo.
Ebbene, di tutta quella materia incandescente, non si è visto una sola conseguenza, neanche minima. Quella di ieri sembrava una partita senza storia, senza tempo, senza che lo scorrere inesorabile dell’orologio producesse conseguenze. Un incontro di precampionato dove una squadra ha già meccanismi rodati e sufficienti certezze (non si arriva in semifinale di Champions se non ci sono). Contro un’altra che pareva in ritardo di preparazione: giù fisicamente, incapace di sollecitare i nervi. Quando a pochi minuti dal termine De Sciglio – il più gentile e pulito dei nostri giocatori – è andato a chiedere che fallo fosse quello che gli avevano fischiato, è stato l’unico segno di presenza non amichevole. Almeno 10 Trofei Berlusconi dei bei tempi sono stati più accesi in quello stadio. Stavolta, da parte nostra, c’è stata una sensazione troppo coerente in tutta la gara per essere scalfita: siamo entrati in campo votati alla sconfitta. Tanto che c’è da chiedersi come abbiamo fatto a stare in partita fino all’ultimo secondo, visto che si è perso “solo” 1-0.
Ma forse, c’è un errore di lettura nella mia analisi, un’ipotesi di partenza errata. Le puntate precedenti per sospettare che sarebbe finita così c’erano e sono esattamente le ultime 3 gare di campionato. In quell’andare su e giù inseguendo penalizzazioni e punti ritrovati momentaneamente, si è trascurato che questa squadra non è più stata di fare niente, se non perdere sempre.
Anche questa è l’anomalia di un anno assurdo, di una stagione dai confini temporali indeterminati: in condizioni normali si sarebbe parlato di crisi profonda della Juventus, di finale drammatico, dove le energie fisiche e mentali sembrano non esserci più e non – per l’appunto – da stasera. Invece, la percezione esterna è stata un’altra. Mentre quella interna – immagino vedendo l’atteggiamento remissivo dell’approccio con la giusta tassa del gol subito – è di sfiducia. Non c’era da aspettarsi rabbia da una squadra che non ce l’ha caratterialmente. C’era, però, da sperare in una reazione. Soprattutto tecnica e da parte dei giocatori che più possono fare la differenza. Se anche da Di Maria o da Chiesa non arriva una giocata importante, è veramente arduo sperare in un andamento diverso.
A cosa aggrapparsi, in questo quadro, visto che tra due settimane ci sarà la gara più importante, quell’Europa League dove la Juve è chiamata a trovare un senso a un anno insensato? Non ad invenzioni di Allegri. Né la formazione iniziale, né la correzione dopo l’intervallo di uomini e di modulo, né l’inserimento di altre risorse dalla panchina ha cambiato l’inerzia della gara. Giusto una stilla di Pogba ha ricordato quanto sarebbe importante avere un centrocampista che non si nasconde, che cerca di estrarre qualcosa di diverso, che trasmette un po’ di fiducia in una giocata di personalità. Ma se a San Siro non va oltre una decina di minuti o poco più, si fa fatica a sperare che col Siviglia possa arrivare qualcosa di più ampio.
Pensando all’unica occasione prodotta, il tiro di Kostic che nasce da un controllo sbagliato, tale da costringerlo ad accelerare la giocata, viene da riflettere a come la Juve non riesca a interpretare le partite con un coraggio di base, anche individuale. Siamo una squadra involontaria, se non nel difenderci in area, dove riusciamo a supplire in qualche modo a un centrocampo che non fa filtro. La Juve di oggi non ha idee né il carattere per improvvisarne. Quella di San Siro è stata di una razionalità banale per riuscire a stare a galla, come se bastasse questo. Se lo si capisce – almeno i big – qualcosa di nuovo si potrà creare, altrimenti sarà davvero dura non chiudere il secondo anno di Allegri senza alcuna soddisfazione.