Hanno Detto

Del Piero a “Federico Buffa Talks” LIVE: l’ex capitano della Juve si racconta nello speciale per i suoi 50 anni

Pubblicato

su

Del Piero ospite di “Federico Buffa Talks”: lo storico ex capitano e numero 10 della Juve si racconta in un’intervista. Le sue parole

Alessandro Del Piero si racconta. L’ex capitano della Juve è l’ospite al centro dell’ottava puntata del “Federico Buffa Talks”, dove si celebrano i 50 anni dell’ex numero 10 bianconero. Uno speciale in cui Alex ripercorre la sua carriera, intervistato dal noto giornalista e da Federico Ferri. Juventusnews24 seguirà LIVE l’evento.


PASSAGGIO DI CONSEGNE CON BONIPERTI – «Il primo incontro fu a Udine. Dai 16 anni in poi si è parlato di Juve e Milan. Poi per l’amicizia con Aggradi, o perchè ci aveva visto lungo verso la fine della stagione, prima che andassi alla Juve, andai a Udine che era il posto più vicino per andare a vedere la Juventus. Era la prima volta per me, in più avevo l’appuntamento con Boniperti. Le società avevano chiuso l’affare. La nomea di Boniperti ha rispetto anche per il presente, è una persona vincente sotto tanti aspetti, oltre che recordman. Io mi approcciai poi per la prima volta a un procuratore. Entriamo nel suo ufficio “Ok Del Piero firmi qua, poi la cifra la metto io”. Io a 18 anni vado a dirgli qualcosa? Io stetti zitto e firmai in bianco, poi mise le cifre e i 5 anni di contratto. Per e andava bene tutto arrivando dal nulla, a 18 anni ero alla Juventus. Poi sono uscito con il mio procuratore, ci eravamo “preparati”. Conversazione invece molto semplice, grazie e arrivederci».

FIRMA IN BIANCO E ULTIMO CONTRATTO  – «Sono stati due momenti totalmente diversi, ma uniti da questa simbologia. Quella decisione nasce da alcuni mesi tortuosi. La squadra andava male e si parlava tanto del mio contratto sulle prime pagine, soprattutto dal punto di vista economico, delle pretese, dei guadagni… Io avevo sempre sottolineato come non fosse quello il problema, probabilmente era fatto anche per mettermi un po’ in cattiva luce. Forse c’era troppo da perdere, io sono uscito consapevole di quello che facevo. Per questo motivo ho poi annunciato pubblicamente che avrei firmato in bianco. E’ una decisione che nasce però dal 2006, dopo la retrocessione in Serie B. Lì è iniziato un percorso che ci ha visto finire nel baratro, ma che io non volevo accettare. Il mio desiderio era lasciare una Juve vincente come l’avevo trovata io all’inizio. La mia idea in quel momento era quella di vincere ancora. Nel 2011 quindi ho firmato in bianco per togliere tutti i dubbi sul mio conto, le mie motivazioni erano solo legate al campo e al legame con la Juventus. Quello che mi è successo in 19 anni con quella maglia ha dell’incredibile».

SERIE B ED ESORDIO A RIMINI – «Volevo concentrarmi sulla partita, l’odore di piadina e di salsiccia… E’ una battuta obbiamente. Entrando in campo pensavo che solo un mese e mezzo prima ero a Berlino a sollevare la Coppa del Mondo. Ero comunque sereno perché essere lì in Serie B era una mia scelta, quando fai una scelta tu tutto il resto conta poco. E’ stato un capitolo totalmente diverso da quello a cui ero abituato. Il momento era drammatico anche per come ci vedeva la gente e per quello che pensavano di noi, con tutto il peso che ci ha portati in Serie b. C’era tanto odio nei nostri confronti, noi eravamo i capri espiatori che sul campo dovevano pagare. Ma ho giocato con compagni straordinari in Serie B, da Galderisi a Di Livio, c’era sano nonnismo. Per la Juve era un momento di ricostruzione, avevamo delle posizioni scoperte e anche la penalizzazione di -17 che ci era stata inflitta in classifica. Per tutte le squadre era la partita della vita, non potevamo permetterci tanti sorrisi. Al Padova io giocai contro Milan e Inter nelle giovanili, noi eravamo lì a guardarli con invidia giustamente, quindi capisci cosa possono provare gli altri e non devi lasciare il fianco a tanti sorrisi».

PRIMI TEMPI ALLA JUVE E “NONNISMO” – «E’ fondamentale fare certi passaggi, capire cosa vuol dire essere dietro, in mezzo o davanti. Per essere davanti devi capire come si sentono quelli dietro. Poi ognuno lo fa a modo suo».

ITALIA DOVE E’ CRESCIUTO DEL PIERO – «E’ il modo di vita che c’era dalle mie parti, lì ancora c’è la voglia dell’aiutarsi nel vicinato. C’è mio padre elettricista che aiuta il vicino muratore a fare l’impianto elettrico e lui che lo aiuta a tirare su un muro. C’è questa volontà, è una regione fondata sul lavoro duro, sul rispetto degli altri. Il nord-est è così, sempre stato così e lo è ancora. Sono stra-orgoglioso di quello che è successo nella mia infanzia, i miei figli ne hanno vissuta una totalmente diversa. Mio padre era elettricista, faceva i turni anche di notte. Mi dava fastidio quando era reperibile la notte, se succedeva un temporale doveva uscire e andare a sistemare i tralicci, era pericoloso. Non volevi sentire tuo padre uscire in motorino e andare in chissà quale posto. Mia madre ha fatto la tata, ha pulito case, era un’epoca dove serviva il secondo stipendio. Sacrifici enormi per far quadrare i conti. Era così. Questo senso del sacrificio, questa dedizione allo stare attenti alle cento lire era viva e presente. Mi ha pesato? Un po’ si, dico la verità. Avere i vestiti di nove anni prima… Nemmeno mio fratello poteva permettersi certe cose. Certe cose le apprezzi dopo, all’epoca mi dava fastidio perchè vai a scuola, c’è il compagno che ha qualcosa di più, quello che ha qualcosa di meno… Sono piccole cose ma fa parte del percorso, è un modo del percorso».

PRIMO DEL PIERO ALLA JUVE – «Prima della prima squadra c’era stata la Primavera, dove abbiamo vinto campionato e Viareggio. Ricordo la semifinale col Padova l’anno prima, quanto mi sono girate a perderla… All’epoca erano cose importanti, quella Primavera era fatta di grandi ragazzi. Il mio primo anno era diviso tra Primavera e prima squadra».

PRIMA DELL’INFORTUNIO DEL 1998 – «C’era la giovinezza, voglia di vincere, di primeggiare, di guadagnare di più. Tutto quello che ti dava stimoli lo mettevi lì. Poi c’è la competizione di per sé, far vedere che sei bravo, che sei forte. Il calcio per me è stato uno sfogo. Lo sport è fondamentale per tutti i bambini, io i miei li ho spinti a fare quello che vogliono. In America nello sport sono più avanti di noi, poi sull’aspetto emotivo si può discutere. Lo sport è meraviglioso. Anche la Champions vinta ha un peso specifico importante. Era un periodo dove c’era tanto cuore. Cuore e istinto erano di gran lunga più avanti della mente, che lavorava sulle responsabilità e il non mollare mai. Io volente o nolente, senza volerlo ho rimpiazzato Baggio».

BAGGIO – «Con lui ho fatto due anni, gli parlavo in dialetto anche se ero molto timido all’inizio. Io avevo 18 anni e lui aveva vinto il Pallone d’Oro. Ho vissuto il suo addio alla Juve che è stato molto doloroso. Io sarei dovuto andare in prestito, si parlava molto del Parma. Alla fine sono però rimasto e dalla sconfitta contro il Foggia ho iniziato a giocare da titolare con il passaggio ai tre attaccanti. Con quel modulo doveva esserci un grande sacrificio da parte nostra, non eravamo molto abituati. C’era la necessità di coprire il campo e alzare l’intensità. Sapevamo che in questo modo potevamo vincere, Vialli aveva tutte queste qualità».

Exit mobile version