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La solitudine di Dybala: «Siamo felici col pallone, ma quello che c’è dietro…»
Paulo Dybala si racconta a Vanity Fair: «Di fenomeni ne ho visti tanti, per questo io ho lavorato sulla testa. A papà penso ogni volta che segno»
Paulo Dybala di fronte al falò con i suoi amici espresse il suo desiderio. «Vincere il Pallone d’Oro». Come mille altri forse sognano, ma se ti chiami Dybala tu non sei come gli altri. E’ un Paulo a 360° quello che si racconta a Vanity Fair, con ripercussioni anche sulla sua vita privata e parole forti. Molto forti. «Noi calciatori siamo felicissimi, ma solo quando abbiamo un pallone tra i piedi. Quello che c’è dietro spesso non è bellissimo. Chi diventa un calciatore quando arriva al mio livello? Il più delle volte un uomo molto solo.»
«Dio ci dà un dono, ma poi quel dono va lavorato. Ne ho visti tanti di fenomeni nei settori giovanili. Ragazzi di cui dicevano: “Se solo avesse avuto la testa, avrebbe potuto essere Maradona o Messi”. Ecco, io ho lavorato soprattutto per evitare questo». La mente si sposta poi a quei terribili 15 anni, quando perse il padre. « Fu un dolore fortissimo. Nei mesi precedenti non riusciva più a venirmi a trovare e il club mi fece andare a casa per un po’ di tempo. Sei mesi erano troppo pochi e mi venne la tentazione di mollare tutto. A papà però penso sempre e gli dedico tutti i miei gol».
I gol li avrebbe anche potuti segnare in maglia azzurra, quella della nazionale italiana. «Avevo 19 anni e rispondere “no, grazie” all’Italia fu dura. Ma sono argentino e sarebbe stato un inganno».