Hanno Detto
Fagioli: «Non ero più padrone di me stesso, il rientro in campo una liberazione. Ora voglio VINCERE con la Juve»
Nicolò Fagioli, centrocampista della Juve, parla così della lunga squalifica per le scommesse e del suo rientro in campo
Nicolò Fagioli, centrocampista della Juve, ha così parlato nella sua intervista alla Gazzetta dello Sport.
ERRORE IN SASSUOLO-JUVE – «Quando sono scoppiato a piangere, nella partita con il Sassuolo, non era solo per aver messo in difficoltà la mia squadra, ma perché in quel momento è scesa una cappa nera, tutto mi sembrava negativo, tutto scuro. Avevo sbagliato un pallone, ma il mio errore più grave era dentro di me. Il problema è che non ero più padrone di me stesso. Il gioco mi aveva divorato la vita, era diventato un assillo, un incubo. Lo so che sono un ragazzo fortunato, che ci sono miei coetanei in condizioni più drammatiche della mia, che non ho titolo per invocare comprensione. Ma non voglio neanche essere ipocrita. Sono stato inghiottito da un vuoto che non guarda in faccia nessuno, non distingue per classe sociale, non premia né assolve in base al talento. Mi sentivo soffocare ma non trovavo il modo di venirne fuori».
SCOMMESSE – «È cominciato tutto come un gioco. Scommettevo, tanto, ma non sulla mia squadra o su di me. Non volevo violare dei principi ai quali credo. So che sembra grottesco che io usi questa parola, ma per me è importante. Pensavo che giocare al calcio e alle scommesse, se le due rette non si incrociavano, non fosse grave. Non ho fatto male allo sport, non ho condizionato risultati o leso diritti di altri».
PERCHE’ LE SCOMMESSE – «Quando finiscono le 4-5 ore di allenamento, ti si spalanca il vuoto. Se non hai altri interessi, quell’abisso ti attira. Io mi annoiavo, sembra assurdo ma è così. Il successo non è un’armatura che resiste alla solitudine, non ti consente, come una corazza, di far rimbalzare le coltellate del tempo vuoto. Pensi a quanti attori, scrittori, musicisti sono precipitati in dipendenze ancora più letali. La noia mi ha rovinato la vita. E poi ogni problema, anche il più stupido come un litigio o una partita sbagliata, dovevo compensarlo con le scariche di adrenalina che mi dava il gioco. Ogni volta che usavo quel maledetto cellulare, ogni giorno e tante volte al giorno, mi sentivo come se fossi in campo».
CI SONO STATI LATI POSITIVI – «Una liberazione. Quel tornado, che mi ha sbattuto con le spalle al muro, mi ha costretto a diventare adulto o comunque più responsabile. Ho iniziato una terapia psicologica con il professor Jarre. Sto guardandomi dentro per cercare le ragioni, per capire perché non avessi antidoti al vuoto e alla noia. Quando la polizia è venuta a casa, io ero stato operato da due giorni, ho chiamato mia madre. Potevo non nascondere più, perché non potevo più nascondere. Un fattore esterno metteva fine a una fase contorta della mia vita e mi costringeva a scegliere: precipitare o rialzarmi. E vorrei dire a tutti i ragazzi che soffrono che non bisogna aver paura di chiedere aiuto. Mi è dispiaciuto che certi giornali abbiano descritto me e Tonali come due demoni. Io ho fatto male solo a me stesso. Non ho truccato partite, non ho condizionato risultati. Ho sbagliato, giocando su siti illegali e ho perso un sacco di soldi. Perché lo so, ma lo sapevo anche allora, che con quei giochi si perde e basta. E non solo denaro. Mi facevo schifo, mi sentivo un cretino. Ma non potevo farne a meno».
AIUTO DEI COMPAGNI – «Sì, in primo luogo la società: rinnovandomi il contratto mi ha dimostrato grande fiducia e vicinanza. Poi mister Allegri e i compagni. Penso a Locatelli, Gatti, Chiesa, Bremer, Vlahovic. Per il resto, con l’aiuto dello psicologo, ho combattuto. Per evitare la tentazione di sporgermi dalla balaustra sul vuoto, ho riempito le giornate dopo gli allenamenti: tennis, padel, sedute di analisi, incontri con le scuole. Per anni ho tenuto questo segreto di fango solo per me, ora posso parlarne, come faccio con lei per la prima volta».
QUANDO SI SCONFIGGE LA DIPENDENZA – «Non lo so, forse mai. So che io non ho smesso e non smetto di combatterla. Sarei un bugiardo se dicessi che non riaffiora, che non fa sentire ogni tanto il suo canto seducente. Ma ora lo domino pensando semplicemente a quanto male mi ha fatto. E so che non esiste “lo faccio una volta sola” perché quella biscia ti avvinghia e non ti molla più. Penso ora che il gioco sia una cosa da sfigati».
RITORNO IN CAMPO – «Avevo una gran voglia di rivincita. Più su me stesso che sugli altri. Dal giorno dopo la squalifica ho cominciato ad allenarmi. Sono stati sette mesi di agonia, contavo i giorni. La mia vita è qui, su questi campi verdi, a vincere o perdere in ragione del talento mio e della mia squadra, non a buttare le giornate e centinaia di migliaia di euro, tanto ho perso, rovinandomi e sentendomi in colpa».
SE SI ASPETTAVA LA PRECONVOCAZIONE PER L’EUROPEO – «No, ma ci speravo. Ora voglio dare la vita per essere nella lista per l’Europeo. Se non dovessi riuscirci, tiferò per gli azzurri. Ho cominciato a giocare a quattro anni, a sedici sono andato via di casa perché la Juve mi ha chiamato. Ho lasciato i miei genitori che mi hanno sempre seguito senza mettermi pressioni. Mamma è impiegata, papà distribuisce medicinali e sono stati molto preoccupati per me. Ora li immagino felici e vorrei fossero orgogliosi di me con la maglia azzurra».
REGISTA DELLA JUVE DEL FUTURO – «Mi piacerebbe. Nasco trequartista, ruolo in sparizione. Poi Pirlo e Allegri mi hanno fatto capire che potevo schierarmi davanti alla difesa e guidare il gioco. Ora mi sento pronto a farlo, anche se non rimuovo la voglia, ogni tanto, di segnare. La Juventus ha davanti cinque competizioni. Sarà bellissimo giocare ogni tre giorni. È quello che piace a me. E il prossimo anno il nostro obiettivo, come sempre per la Juve, è vincere lo scudetto».