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Figc, senza riforme si passa agli escamotage

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Lunedì 6 marzo Tavecchio contro Abodi. Ma il calcio italiano vuole veramente cambiare?

La Figc andrà alle elezioni il 6 marzo per scegliere il nuovo (ma potrebbe trattarsi di una riconferma) capo del calcio italiano. Mentre la fatidica data si avvicina i duellanti affilano le armi. Da una parte il presidente attuale, Carlo Tavecchio, lombardo, classe ’43, dirigente bancario che conosce a menadito, sin tra i meandri del sottobosco, i meccanismi della federazione ubicata nella Capitolina via Allegri. Dall’altra il cinquantaseienne manager romano Andrea Abodi, da poco eletto per la terza volta consecutiva (dal 2010) presidente della Lega B. Il meccanismo di elezione è, nel classico stile italiano, minuzioso fino all’eccesso in linea teorica ma franoso come un post-alluvione in linea pratica. Una ripartizione di poteri in cui ogni componente dell’assemblea ha un certo peso e quindi una certa capacità di mandare tutto all’aria. E già qui ci sarebbe da discutere sulle percentuali assegnate alle varie anime che compongono la federazione. Ma passiamo oltre.

L’articolo 20 comma 2 dello Statuto federale attribuisce cosi la ripartizione della rappresentanza: alle leghe professionistiche vanno il 34% dei voti, suddivisi tra 17% Lega Pro, 12% Serie A e 5% Serie B; alla Lega Dilettanti va la stessa quota dei professionisti, e arrivamo a 68. Agli arbitri 2%. Il restante 30% se lo dividono l’Associazione calciatori (20%) e gli allenatori (10%). Il sistema elettorale prevede che il presidente venga eletto al primo scrutinio se il candidato ha ottenuto almeno il 75% dei voti; la soglia si abbassa ai due terzi al secondo turno elettorale. Questo dice il manuale Cencelli applicato al mondo del calcio. E, come nel mondo della politica-partitica, anche l’universo-football sembra impotente, aldilà dei momentanei condottieri, ad operare vere riforme in grado di rivitalizzare e modernizzare l’ambiente. O almeno provarci. In primis perchè pochi vogliono cambiare veramente, spaventati più che galvanizzati da quel che potrebbe essere. Tanti invece preferiscono tenersi stretto il proprio orticello, pur se magari putrido e inquinato, spartendosi quel che resta (finchè resta qualcosa…) di quella che in passato fu effettivamente una torta. E se proprio occorre fare delle riforme, inizino gli altri a pedalare, poi si vedrà! Cosi non si cambierà mai nulla e gli effetti della mancata evoluzione del calcio peninsulare è sotto gli occhi di tutti.

D’altronde il calcio rispecchia l’Italia del 2017, vecchia, timorosa e arroccata su posizioni medievali. La battaglia per il potere, come dicevamo all’inizio, è ormai avviata. I ben informati indicano Tavecchio come favorito. Tratteremo in altri momenti degli ulteriori dettagli dei programmi dei contendenti. Ma un aspetto, tra i tanti, ci ha colpito. Il successore di Abete (ricordate il disastroso mondiale brasiliano?), di recente, ha parlato della mancata riforma dei campionati professionistici. Una delle tante mancate riforme. E ha concluso dicendo che si potrebbe optare per un escamotage per ridurre ugualmente il numero delle società (e Abodi la penserebbe allo stesso modo). Se passare a 18 squadre in A e 20 in B (avessi detto una rivoluzione) appare utopistico per la netta contrarietà di troppi proprietari d’azienda, timorosi di perdere privilegi di natura economica, allora occorre agire in maniera laterale e non verticale. Pare che le società contrarie sarebbero addirittura tutte quelle della parte destra della classifica più altre 4 della parte sinistra. Un compromesso storico destra-sinistra inquietante. «Cambiare in questo modo è impossibile», ha detto Tavecchio. Allora ecco l’escamotage di cui sopra.

L’ipotesi cioè di un giro di vite molto stretto per le aziende calcistiche che non rispettano determinati requisiti. Un controllo di qualità per scremare velocemente chi non è in regola. Quindi conti in ordine e impianti a norma, senza più deroghe fantasiose per tenere buone le piazze. E senza ripescare nessuno in caso di cancellazione dai campionati. Chi non ha i conti a posto non gioca. Nell’Italia del 2017 forse è l’unica soluzione praticabile. Dove non arriva la spada arriva l’ispezione contabile. Così sarà anche se non vi pare. E non abbiamo trattato la richiesta danni pretesa dalla Juventus riguardante Calciopoli. Quello è un altro capitolo. Metà inquietante e metà ridicolo. Una storia infinita in classicissimo italian-style: «La Figc voleva trattare ma la Juve ha deciso di andare avanti», ha chiosato Tavecchio. Trattare su cosa, su chi e su quanto? Chissà. Un giorno forse sapremo. Tornando alla presidenza Figc, l’assemblea di Lega della serie A in programma oggi a Milano potrebbe spostare qualche equilibrio. Prepariamoci a qualche resa dei conti. In tutti i sensi.

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