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I DIALOGOBBI – Alessandro Giovannelli: «Voglio bene ai giocatori della Juve»

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I DIALOGOBBI – Alessandro Giovannelli: «Voglio bene ai giocatori della Juve». Nuova puntata della nostra rubrica

Puntata de I Dialogobbi tra la disfatta di Champions e il derby che verrà con tutte le sue incognite. Con me c’è Alessandro Giovannelli, che ha scritto a suo tempo un racconto denso dove c’è la Juve e la vita (CLICCA QUI) e si definisce così: «Sono un gobbo nato in cattività (Mugello, provincia di Firenze), in cui per decenni l’unica altra persona oltre a me che tifasse Juve era mio padre. Adesso vivo a Roma, non lontano dall’Olimpico e sono circondato da laziali e romanisti. Vivo da sempre un tifo di trincea. E solitario». Ho scelto lui per due motivi. Un verso di Fabrizio De André a presentare il suo profilo twitter e un tweet di un anno fa che mi ha fatto pensare: «Solo la Juve di Allegri ti insegna così tante cose sulla vita in novanta minuti più recupero».

Paolo: «Ciao Alessandro. Come si fa a non chiederti cosa ti ha insegnato il disastro di martedì sera? Hai due opzioni di risposta: quella di carattere esistenziale. E un’altra più terra terra, per darci qualche coordinata prettamente calcistica e aiutarci a vivere questo difficile momento?»

Alessandro: «La Juve di martedì insegna che le cose si possono mettere anche molto male e non è detto che se ne esca subito. E che quando le cose vanno male l’istinto è quello di raccogliersi in famiglia e guardare solo al propri dolori. A me per esempio, questa situazione ha tolto quasi del tutto la voglia di vedere altro calcio che non sia le nostre amare partite. Riesco a vedere le sintesi della Lazio, ma credo sia per il gusto di ricordarmi dell’amore interrotto con Maurizio Sarri. In ufficio se qualcuno parla delle altre partite io giro alla larga, faccio il vago. Solo quando trovo un collega juventino riprendo la parola e – o anche solo – ci limitiamo a scuotere la testa. Tu come la stai vivendo? Guardi le altre famiglie felici o ti rintani nelle nostre quattro mura?»

Paolo: «Al di là delle ragioni professionali che mi impongono di guardare altre partite, credo che essere juventini significhi proprio amare il calcio. Conosco tifosi di altri colori per il quale non è così, amano la loro squadra, il resto non interessa (su tutti, i granata). É un approccio diverso, più religioso, noi già solo per capire se un campione arriverà mai alla Juve osserviamo con passione tutto. Però capisco il tuo sentimento perché l’ho provato in una stagione (non credo di avere bisogno di citarla) dove non ho visto una sola partita di Serie A. Preferivo stare tra noi. Tutta questa premessa per dire due cose. Trovo insopportabili le uscite dalla Champions League e questo credo di condividerlo con milioni di altri gobbi. Ma quel che più mi fa male è non partecipare. Meglio sentirsi umiliati in Israele che non esserci. Ed è questo ciò che mi angoscia per il nostro futuro».

Alessandro: «Ti capisco. Anche a me sembra assurdo pensare ad un futuro senza la Coppa, e pesa più questo pensiero rispetto a un presente fatto di trasferte a Monza e paura di implosione nel derby. A me poi capita un’altra cosa, che non so se capita a che a te: mi dispiace per i giocatori. Vedere questi ragazzi con le facce appese, impotenti e tristi, mi fa crescere a dismisura il bene che provo per loro. Ecco, forse per me tifare per la maglia vuol dire anche tifare per questi nostri ragazzi, come fossero figli, fratelli, amici. Ci vorrei parlare, portarli una sera fuori per una birra e dir loro: va tutto bene, tranquilli, siete bravi. Difficile che mi prenda proprio l’incazzatura con loro».

Paolo: «Hai centrato il punto. Ed è esattamente questo l’argomento più urgente in vista del derby. Che si vince anche per quanto umanamente si riesce a esprimere, oltre che per valori tecnici. E allora la domanda è se il ritiro possa servire. Me lo auguro, da cittadino di Torino vivrei malissimo un passaggio a vuoto proprio contro i granata, ma io non sono convinto che il problema più grave sia caratteriale, di gruppo o di autostima. Premesso che oltre ai giocatori ho un affetto vero per il mister, credo sinceramente che non ci stia capendo nulla. Il crollo col Maccabi e la “vergogna” esplicita da Agnelli occultano il problema: la squadra peggiora a vista d’occhio. Magari avremo una scossa nervosa sabato, magari si vince, ma se non si vedono crescite su tutto non andrò oltre la pura soddisfazione da torinese e resterò preoccupatissimo ugualmente per il dopo».

Alessandro: «Vedo una squadra in cui lo scatto di nervi rischia di farsi inghiottire subito in un nervosismo improduttivo, invece che trasformarsi in fuoco agonistico. Magari vinciamo il derby, ma la legna mi sembra molto bagnata e non basterà una scintilla a far riaccendere la squadra. Che peggiora partita dopo partita, hai ragione tu. Forse non siamo davanti ad una crisi, ma ad un crollo. E non basta dire vergogna, no. Serve un’analisi approfondita, fatta con parole di verità. E vorrei che fossero dette apertamente queste parole di verità, e non soltanto nel conclave sacro di un ritiro. Mi sembra che l’ambiente abbia bisogno di aria. Ma questo lo capisci senz’altro meglio tu dalla città. Ad Allegri voglio bene anch’io, ma forse è il caso che se ne voglia un poco anche lui».

Paolo: «Chiudo con una speranza. Perché è questo che fa di solito un tifoso. Coltiva un’ambizione. Dimmi se è sbagliata, se ti ci ritrovi, se ne hai un’altra. Vorrei trovarmi in finale di Europa League. Che detto oggi sembra lontanissima, ma se non ho quell’orizzonte non mi voglio bene, per usare la tua formula. Inutile che ci giriamo attorno: se non si vince, non siamo noi. E io a ottobre l’idea che il massimo sia la Coppa Italia non me la faccio proprio andare giù…».

Alessandro: «Condivido la speranza. Sarebbe bello arrivare fino in fondo in Europa League, chiudendo il cerchio di quella mancata finale in casa del 2014. Avanti tutta».

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