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Inter Juve: la classifica non mente, parte 2
Inter Juve, la classifica delle due squadre non mente: un’analisi del momento bianconero dopo la vittoria di San Siro
Piccola e doverosa premessa. Se non sopportate quegli articoli con un bel po’ di citazioni che vi inducono anche a pensare che l’autore abbia poco di suo da dire, ebbene, reo confesso, è possibile che questo vi risulterà indigesto. E se ritenete che i peggiori di tutti siano coloro che arrivano addirittura ad autocitarsi, sappiate che lo farò subito. Non per narcisismo o per il classico “io l’avevo detto” per dimostrare una propria forma di ragione antitetica al torto altrui. Il mio intento è un altro, è il mio vizio da sempre: prima di guardare avanti, osservo un attimo ciò che mi lascio indietro. Colpa dell’avere lavorato e di continuare a farlo sulla storia della Juventus e del calcio, ho il culto della memoria scritto sulla carta d’identità.
«La classifica non mente. Siamo quinti, ci meritiamo il quinto posto e – di poco e solo in Italia – la Juventus è superiore all’Inter». Scrivevo questo al termine della gara d’andata, vinta 2-0 all’Allianz Stadium. Eravamo già distanti anni luce dal Napoli anche senza penalizzazione, fuori dalla Champions a differenza dell’Inter, ma dopo quei 90 minuti avevano un po’ rimescolato le carte delle convinzioni e ne ero profondamente convinto, come credo molti altri: il gap registrato l’anno prima rispetto ai nerazzurri, sia in campionato che nelle due finali perse, non c’era più. E concludevo, piuttosto convinto: «Prendiamone atto perché comporta delle responsabilità».
Ora, dopo il -15 tutto è diventato più fluido, parola che spiega molto di questi tempi e che ha determinato anche il gioco dei ruoli alla vigilia della gara. Con Allegri a ricordare che i punti ci vedevano in un secondo posto virtuale ma comunque reale e Inzaghi a dire che no, c’era bisogno di certezze, la classifica non può vivere nel regno del dubbio (a noi lo dice?). Insomma, la solita diatriba che da molto prima del 2006 esiste tra noi e loro: campo vs giudici. Succedeva nel 1961, non ero neanche ancora nei progetti di famiglia che si festeggiava il centenario d’Italia così, con una disfida tra chi vuole che il verdetto sia determinato 11 contro 11 e chi, al contrario, pensa che debbano intervenire i tribunali perché il gioco è viziato all’origine. Non a tutti piace questo contrasto. Ad esempio Alessandro Bocci sul Corriere della Sera ieri lo ha scritto: «Il derby d’Italia è piccolo e fragile, come le sue protagoniste, lontane dal Napoli tritatutto e con gli allenatori, Inzaghi e Allegri, impegnati nella stucchevole diatriba sul secondo posto, reale o virtuale, anziché spiegarsi e spiegare come sia possibile a metà marzo essere così lontane dallo scudetto». Perché questa è l’unica cosa che ci accomuna: ci tocca stare a guardare chi festeggerà. E a disputare ancora, in Coppa Italia, per provare ad aggiungersi alla lista dei vincitori della stagione, un altro doppio Derby d’Italia che ci appassionerà e magari costruirà un’altra irriducibile opposizione, anche se è difficile superare quella definita da Allegri a proposito dell’utilizzo del Var: dopo la definizione di oggettivo vs soggettivo, cosa mai ci possa essere la lascio a chi possiede una cultura filosofica, il mio pensiero è realmente troppo debole per immaginare cosa ci sia dopo.
Molto terra terra, credo di dover riproporre un unico principio guida: la classifica non mente. Che significa due cose:
1) Che saremmo secondi e magari ci torneremo se la società vincerà il ricorso. E se sarà così, lo dico nell’entusiasmo provato per l’1-0 di San Siro, lo saremo all’interno di una lotta Champions all’insegna della medietà, vezzeggiativo di mediocrità diffusa in questo campionato. E se qualcuno mi porta a prova contraria che no, non siamo così male visto che sei italiane si giocheranno i quarti di finale delle tre diverse coppe europee, mi limito solo ad osservare che esiste una bella differenza tra una lunga sequenza di prove convincenti e i singoli exploit (solo il Napoli è riuscito a unificare l’uno e l’altro in Europa. Non c’è una sola capolista tra Premier, Liga, Bundesliga e Ligue 1 che giochi ancora gare internazionali…).
2) Che siamo settimi, a 7 punti dal 4° posto e che adesso ci siamo guadagnati il diritto a credere che il prossimo anno la Champions ci vedrà ai nastri di partenza. A meno che Chiné, per la manovra stipendi, chieda una nuova afflizione per posizionarci nuovamente dietro la quarta, il tempo per una nuova rimonta a quel punto non ci sarebbe più e guardare avanti non avrebbe proprio più alcun senso, quando la classifica è un’unica grande menzogna.