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Inter Juve è una conferma: lo scudetto si può vincerlo se lo perdono loro
Inter Juve e le prestazioni offerte in campo ne sono una conferma: lo scudetto si può vincere solo se a perderlo è Inzaghi
Non c’entra nulla il pari con l’Empoli per spiegare Inter–Juventus di ieri sera. Non c’entra nulla, però, anche quella sequenza di partite che a gennaio aveva visto la squadra crescere in termini di proposta di gioco, di gol, di autostima e di entusiasmo. Elementi non maturati in una singola partita, in una scintilla scattata in un big-match. A funzionare, regalandoci un’impressione di raggiunta competitività, era la crescita collettiva e individuale. Tale da farci sentire pronti.
Invece, il primo tempo è stato condotto da squadra in possesso di una sicurezza più di ogni altra: essere inferiore. Perché la Juve si presenta indietro e se è un’idea consueta che può anche funzionare, ha bisogno di due presupposti che non si vedono: una forte fisicità in certi momenti, emblematizzata da Rabiot che dovrebbe essere dominante – almeno in certi contrasti e nel fare capire che su quella fascia non si passa – e invece non lo è; l’inappuntabilità in difesa, e qui forse noi abbiamo un atteggiamento fideista, pensiamo realmente di poter fare 90 minuti di perfezione perché un bel po’ di volte c’è riuscito.
Lo sbrego, però, è sempre dietro l’angolo e il gol che subiamo è proprio una sorta di condanna: lo prendiamo nel momento migliore del nostro primo tempo, in un’azione dove una somma di loro errori (la rovesciata mancata di Pavard, Thuram in leggero ritardo) vive del fatto che gliel’abbiamo permessa (come si fa a non capire cosa farà Barella senza opporre una chiusura?) e gliela andiamo a correggere con la deviazione di Gatti. Che, tenendo conto anche della rete dell’andata, rischia di diventare il simbolo del nostro “vorrei ma non posso”, proprio lui, che è la testimonianza tra le più vive di come si possano superare i limiti.
La Juve ha impostato una gara di ripartenze, a un certo punto riescono anche e l’errore di Vlahovic è ai confini dell’imperdonabile. Ma è grave che in tutta la prima parte si sia pensato che il piano gara fosse quello di provarle con pochissimi uomini, per di più legati solo in maniera estemporanea e improvvisa. Ed è evidente tutto questo dal fatto che Yildiz, l’uomo deputato a collegare meglio il gioco, non riesca e non possa entrare in partita. Al pari di Cambiaso, che sembra mangiato dalle troppe responsabilità da coprire in un campo troppo più ampio del solito.
Unica speranza al termine del primo tempo e, per la verità, alimentata in qualche maniera fino al termine dell’incontro: la Juve non trova la giocata giusta per pungere sul serio, del resto davanti si trova una fase difensiva tra le migliori d’Europa. Però, la giusta tensione nervosa c’è. Non si ha mai minimamente la sensazione di una squadra che sia fuori dalla gara, è evidente che conosce i suoi difetti e incontra dei problemi non abituali contro avversari di minor valore e consistenza.
Questa idea, o meglio, questa sensazione che qualche fiammata ha reso possibile, è di fatto la descrizione del nostro secondo tempo. Dove si poteva anche arrivare al pareggio in qualche mischia, ma nel conteggio delle occasioni siamo andati più vicini alla capitolazione finale. E se Sommer ha dovuto soffiare su qualche conclusione, Szczesny ha messo tutto se stesso per evitare il 2-0, sfoderando una serie di interventi da migliore in campo.
Sinteticamente, noi non abbiamo trovato il modo per renderci realmente pericolosi, afflitti come siamo da limiti tecnici che al cospetto della prima in classifica acquistano un peso specifico che non hanno contro altri. Lentezza nella circolazione, mancanza di fantasia che genera il colpo a effetto, troppa attenzione all’equilibrio, questi i confini dai quali siamo spesso riusciti a evadere, non ieri sera. Dove si è vista la differenza proprio quando abbiamo cercato di fare la partita e ci si è allungati in modo esagerato, non da noi, non da Allegri, rischiando più di quel che si creava davanti. E questo nonostante si sia tirato molto nella ripresa, 10 volte contro le sole 2 dei primi 45 minuti.
Poiché questo atteggiamento è dovuto solo al fatto di essere in svantaggio, è chiaro che non si può che trarne una conseguenza logica: Allegri è stato bravissimo a portarci fin qui. Oltre non sa andare. E a oggi, oltre, forse non si può andare. I 90 minuti di San Siro rafforzano quel che prima era “solo” un sospetto: questo scudetto si può vincerlo solo se lo perdono loro.