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Se la Juve deve attaccare, i gol li fanno i difensori

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Se la Juve deve attaccare, i gol li fanno i difensori: non cresce il gioco di Allegri ma cresce la classifica e non è poco

Tre punti prima della sosta, quinta vittoria consecutiva e tradizionali limiti di gioco: non tanto per mentalità difensiva, semmai per mancanza tecnica e di personalità che questa squadra ha e che cerca di curarsi – non sembri il paradosso – giocando il meno possibile per non autodenunciarli di più. La Juve non cresce, se qualcuno se lo aspettava dalla gara con il Cagliari ne sarà rimasto deluso. Cresce la classifica, però: vedendo cosa fanno gli altri non è poca cosa, anche se si potrebbe sperare ogni tanto di non vincere di misura, con un po’ di affanno nel finale.

Svolgendo il film della gara, emerge dalla prime scene che la Juve convive con due situazioni opposte e questo forse rientra tra “i nostri limiti che devono diventare punti di forza” di cui parla Allegri. Da un lato non avere una vera regia, un centro motore, a maggior ragione in una gara dove Locatelli accusa un problema alla schiena ed è bravo a conviverci. Dall’altro, riuscire a essere efficace e a creare le cose migliori quando verticalizza in tempi rapidi, non sta a pensare più di tanto; o meglio, molti e in diverse posizioni di campo decidono di accelerare la prima battuta, di seguire la prima idea. Magari sbagliano, tante volte non hanno molte opzioni di passaggio sulle quali fare una scelta, denotano limiti tecnici; però l’intenzione è giusta e in questo il nostro primo quarto d’ora è più che accettabile. Anche per momenti di pressing che un po’ condizionano il Cagliari, che comunque non si fa spaventare o intimorire più di tanto perché davanti si punge poco.

E qui bisognerebbe capire il perché, ovvero i limiti del nostro agire offensivo. Credo che ne vadano indicati due, che potrebbero essere riassunti in una sola figura nella prima frazione di gioco: Miretti. Se c’è un giocatore, almeno in linea teorica, in grado di cambiare posizione e di permettere qualche soluzione in più è lui, mezzala con capacità di mettersi tra le linee dove effettuare giocate importanti. E se c’è un ragazzo che dovrebbe avere il fuoco addosso in questo preciso momento è sempre lui, che a Firenze ha trovato la via del gol e che, quindi, dovrebbe essere in fiducia. I primi 45 minuti di Fabio sono sull’anonimo andante, quando finalmente ha il corridoio centrale giusto dove infilarsi tradisce quella mancanza che basta per vedersi deviare il tiro, sembra il più delle volte un pesce fuor d’acqua e perde anche qualche pallone come proprio non si dovrebbe. É significativo che a inizio ripresa la crescita della squadra e la produzione in serie di occasioni dipenda anche da un suo maggiore coinvolgimento e da rifiniture precise in asse con Kostic.

Uscendo da lui per andare agli altri, la Juve – almeno quella della prima parte – non ha un vero leader che “senta” la partita, che provi a strapparla, che la prenda a morsi. Giusto McKennie, che è tradizionalmente disinibito di suo; in parte Cambiaso, che così facendo è però anche incline alla confusione; poco altro, troppo pochi altri. Si va al riposo su uno 0-0 del tutto logico. Allegri dirà poi che le gambe hanno iniziato a girare più velocemente già nell’ultimo quarto d’ora prima dell’intervallo, ma abbiamo concesso lunghe fasi al possesso anche ampio dei nostri avversari: va bene la pazienza, ma sembra eccessivo che quasi metodicamente si giochino primi tempi senza accensioni.

Nella ripresa la Juve offre immediatamente la sensazione che basti poco per creare pericoli, giusto per l’appunto verticalizzare con una precisione maggiore, insistere con fasi di moderata intensità e qualche pallone recuperato più in alto, mostrare un Chiesa più vivace. Poi, è pur vero che i due gol arrivano da palla inattiva, non è una novità che in questo siamo forti, lo eravamo già nel disgraziato scorso anno. Con una formula facile ma corretta, si può certamente concludere che noi non siamo solo una squadra che si difende, ma stiamo diventando pure una squadra che se deve attaccare fa segnare i difensori. E meno male che va così, che Bremer e Rugani si prendano la soddisfazione che meritano per quel che stanno facendo e che, una volta in vantaggio, la Juve sembri più sciolta, muova meglio la palla, abbia più serenità nel palleggio. Anche se – fatalmente – chi di palla inattiva ferisce, da un calcio d’angolo subisce, generando l’ansia di un finale evitabile e va a definire la nostra quarta vittoria di fila col minimo scarto. Insinuandoci il sospetto che Allegri non guardi realmente al primo posto, nonostante si sia lì, perché capisce che il prezzo delle vittorie è di volta in volta troppo alto per sentirci più grandi di quel che – per adesso – non siamo.

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