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Juve, in due anni il nulla: nemmeno Di Maria ha salvato Allegri
Juve, in due anni il nulla: nemmeno Di Maria ha salvato Allegri. Col Siviglia il punto più basso della stagione del Fideo
L’uscita dal campo scuotendo la testa al minuto 62. Il pugno alla panchina. Prima, il gol fallito e tanti errori anche banali per uno come lui. Di Maria ha forse toccato il punto più basso della sua stagione bianconera (insieme all’espulsione di Monza) giovedì sera contro il Siviglia. Il Fideo ha fallito in pieno la partita più importante della stagione. Proprio quando tutto il popolo juventino sperava su di lui. Allegri credeva potesse ripetere le gesta di Nantes ricreando la coppia della tripletta con Kean. Ma così non è stato. Ed è forse Di Maria il simbolo più eclatante di questi due anni di nulla della Juve.
ASPETTATIVE NON RIPAGATE
Di Maria era arrivato a Torino nell’estate scorsa dopo un lungo tira e molla, firmando un ricco contratto di un anno con possibilità di rinnovo per un’altra stagione. Con Pogba, inutile nascondersi, era stato definito come il colpo a zero che avrebbe risollevato la Juve dopo una stagione senza trofei. Così non è stato. Il gol all’esordio col Sassuolo è stato un fulmine in un cielo che, fino alla vittoria del Mondiale, in bianconero è stato decisamente poco sereno. Il rosso col Monza, gli infortuni, le difficoltà generali della squadra. Il primo Di Maria è stato un fallimento. Rientrato dal Mondiale con la medaglia d’oro al collo, il Fideo si è trasformato tra gennaio e marzo con gol belli, importanti e numeri da top player. Poi di nuovo il nulla. Fino alla disfatta, personale e di squadra, col Siviglia.
I NUMERI SIMBOLO DEL FALLIMENTO
37 presenze, 8 gol di cui 3 in una stessa partita. Ma anche 12 partite di fila senza reti o assist. Dal 9 marzo, quando segnò il gol della vittoria al Friburgo, Di Maria non ha più lasciato il segno in nessuna gara, incluse le semifinali con Inter e Siviglia dove tutti si aspettavano quel qualcosa in più proprio dal suo mancino.
E’ forse lui il simbolo più eclatante del fallimento di Allegri nei due anni dal suo ritorno sulla barca bianconera al posto del rimpianto Pirlo. La classe e la qualità dell’ex Psg e Real Madrid non si discutono, ma anche lui è stato invischiato nella confusione totale dal punto di vista tecnico e tattico.
E così anche Di Maria non è riuscito più ad incidere e addirittura ha iniziato a sbagliare cose che, solitamente, avrebbe fatto facilmente anche con un occhio bendato. A partire dal quel pallonetto insensato al Siviglia fino ai più banali dribbling e passaggi. La decisione di Allegri di sostituirlo è stata sacrosanta, meno la reazione furiosa di un campione che è apparso decisamente poco felice.
Eppure, a guardare le foto e le immagini degli allenamenti dei giorni precedenti, il clima nello spogliatoio appariva sereno e positivo. In campo, nell’inferno del Pizjuan, tutto si è dissolto sul più bello, proprio dopo il gol di Vlahovic che sembrava aver messo in discesa la semifinale.
La Juve è crollata nel momento in cui avrebbe dovuto infierire il colpo letale. Ha abbassato il suo baricentro, ha smesso di pressare, si è rintanata sempre di più in area. Spaventata. Incapace di ripartire. A forza di difendere ha perso lucidità e l’errore di Chiesa ha portato al gol di Suso. La squadra, in due anni, non ha mai dato la sensazione di potersi imporre e i nodi sono venuti al pettine. Le tante vittorie risicate, spesso frutto più dei nervi che di altro, hanno nascosto i difetti perenni di una squadra che non ha identità di gioco e, probabilmente, nemmeno un’anima precisa.
FUTURO E RINNOVO
Se un tempo, poi, i colpi a parametro zero alla Di Maria erano delle vere e proprie fortune (Pirlo e Pogba giusto per fare due nomi), stavolta la dirigenza bianconera ha preso un buco. Vale la pena rinnovare il contratto di un giocatore di 35 anni che sembra già avere la testa al ritorno in patria al Rosario? A questo punto, anche in chiave economica (6 milioni con gli sgravi del Decreto Crescita), forse sarebbe meglio proseguire con i giovani da crescere in casa che con un Di Maria che, per demeriti suoi e collettivi, non ha soddisfatto le tante, giuste aspettative riposte in lui.