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Juve Inter e la strategia del rinvio

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Juve Inter e la strategia del rinvio. Prima la battaglia dialettica tra Allegri e Marotta poi una sorta di armistizio in campo

Alla vigilia di Juventus-Inter, fino all’imminenza del fischio d’inizio, c’è stato il solito balletto sul “Favorito sarà lei”, con complimenti tra Allegri e Marotta su chi è più bravo a comunicare. Niente di esaltante per metterci su una bella storia, anche solo confinata nei 90 minuti. E l’1-1 giusto, logico, dovuto, non farà che moltiplicare questa dialettica, quando forse dovremmo chiederci perché alla tredicesima giornata la seconda e la prima del campionato italiano si affrontano e ne esce fuori un copione – per così dire – vendibile all’estero solo per i primi 45 minuti. Il resto è dimenticabile, anche se immaginiamo che avrà fatto felici i due mister al di là di ogni dichiarazione. Che non hanno giocato fino in fondo una gara, ma praticato una sorta di armistizio. E non solo perché volevano non perdere, innanzitutto. Ma perché nessuno ha pensato di rischiare anche solo un minimo per provare a vincere davvero. Che, in linea teorica, per la Juve avrebbe dato un primato per il quale oggi non si sente all’altezza. E che all‘Inter avrebbe invece permesso un vero allungo e l’acquisizione di un’idea non banale: essere il Napoli dell’anno scorso e presentarsi fra 7 giorni al San Paolo per scucire lo scudetto anzitempo e virtualmente (ma non troppo). Tutto rinviato, nessun giudizio con una parvenza di definitività, anche se sono convinto che per i nerazzurri sia stata un’occasione perduta per acquisire uno status più compiuto che con Inzaghi ancora non hanno raggiunto in campionato.


Il pareggio fa sì che si possa dire: non è successo niente. É davvero così? Difficile capirlo, ma per la Juve occorrerà aspettare poco. Ovvero Monza, luogo del peggiore incubo dell’anno scorso. Se la squadra è pronta realmente per una corsa a tappe qual è il campionato, quello è il luogo giusto per dimostrarlo, molto più di una prova della verita con l’Inter che non c’è stata.

La gara di ieri a riassumerla solo nei macroepisodi si finisce per fare highlights di cortissima durata: i 2 gol, determinati da azioni che mettono in evidenza il meglio delle proprietà offensive delle due squadre; una sola occasione estemporanea sul sinistro di Chiesa, che non trova la porta dallo sviluppo di una rimessa laterale di McKennie. Per il resto le due squadre si sono presentate con una forte attenzione tattica, probabilmente anche sentendosi alla pari almeno in una combinazione di fattori che impone il rispetto dell’avversario e nessuna concessione: ordine, compattezza, circolazione palla tendenzialmente pulita senza cercare soluzioni avventate, rarissimi uno contro uno. Ne è uscito fuori un approccio nel quale ci si è lasciati giocare, quasi che nello specchio del rispettivo 3-5-2 si volesse verificare chi sapesse disegnare meglio le linee. Proprio per questo, almeno in alcuni momenti del primo tempo, la Juve è cresciuta in minima parte nel possesso per darsi una certa sicurezza.

Il nostro vantaggio è stato figlio di una condotta intelligente, efficace, nella quale siamo stati bravi a capitalizzare un recupero alto e ad esaltare le caratteristiche in combinazione di Vlahovic e Chiesa. É sembrato di rivedere due scene ugualmente importanti. Per i protagonisti all’opera, la rete che ha aperto il campionato a Udine: Dusan a rubare palla e, in quel caso, Federico a metterla alla spalle del portiere. Per la dinamica del gol non può che scattare automaticamente nella memoria l’immagine di quello di Rabiot nello Juventus-Inter dello scorso campionato. E non solo perché – come allora – la partita si è disputata alla tredicesima giornata.

Successivamente abbiamo incassato il pari quando si poteva anche iniziare a pensare che avevamo capito il giusto bilanciamento tra occasionali situazioni a pressione più alta e baricentro meno basso di alcune prove precedenti (Bergamo e Firenze). Ed è una rete che ha messo a nudo, insieme alla loro rapidità d’esecuzione, quanto sul dinamismo non siamo pari a loro: basta un atto di coraggio di Rugani che prova a murare Barella e si apre una prateria dove né Bremer riesce a tenere il passo di Thuram, né Gatti ha la reattività per rispondere al movimento di Lautaro e murarlo.

In una ripresa dove c’è stato un solo tiro da parte dell’Inter e nessuno della Juventus, ci sarebbe da fare ragionamenti articolati sull’estremizzazione tattica del nostro calcio come cappello introduttivo a qualsiasi altra considerazione. Saltata la premessa – che forzatamente potrebbe portare a una complicazione della divisione tra risultatisti e giochisti dopo che gli antipodi Sarri e Mourinho hanno offerto uno spettacolo simile – resterebbe un’analisi del come si sia arrivati a questa paralisi. La Juve ha aspettato e gestito più o meno serenamente le estenuanti fasi di possesso degli avversari, che a difesa chiusa non hanno mostrato né quella qualità che gli si riconosce altrove, né la cattiveria agonistica di chi sente l’urgenza dei 3 punti. É sembrato che il pareggio andasse a bene a entrambi. L’unico a scombinare i piani è stato Cuadrado, anche per l’accensione emotiva che ha generato. Niente di paragonabile al passato, giusto una pallida similitudine con i tempi che furono. La partita è progressivamente diventata spezzettata, buia più che sporca: non è bastato l’ingresso di Locatelli per accendere la luce, si sono notati tanti limiti tecnici, troppi per generare qualcosa di significativo. Ma è molto probabile che Allegri sia uscito dal campo del tutto soddisfatto di verificare una volta di più che la Juve sa annullare i conflitti quando ritiene di non esserne all’altezza.

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