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Un derby giusto, come la classifica della Juve

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Il derby vinto ieri allo Stadium segnala come sia giusta la vittoria della Juve, così come la sua posizione in classifica

Un derby da 0-0 che termina 2-0. Si potrebbe definirlo così, vedendo il pochissimo che c’è stato fino al riposo. Oppure, rovesciando la prospettiva: com’è possibile che una la superiorità bianconera sui granata, espressa da un risultato giustissimo, non è maturata prima? Mai come nella gara di ieri ha senso proporre una lettura cronologica (che poi è quel che succede sempre di più in un calcio equilibrato pensate a Inter-Bologna da 2-0 a 2-2). É nella trasformazione, più che nell’identità delle squadre, la risposta a tante domande.
Nei primi minuti si vede una Juve che accetta e anche propone ritmi veloci, in fase di costruzione qualche movimento interessante, con Danilo che va sull’interno, Locatelli molto basso e una squadra che gioca praticamente solo a destra, dove Weah e McKennie provano a dialogare, anche se gli spazi non ci sono cercano d’inventarseli. Da tutto questo non nasce niente. Allora si cambia idea, si gioca prevalentemente con filtranti a lunga gittata che cerchino di trovare Kean, in modo che tenga palla e vada a determinare nel lavoro di sponda corridoi centrali, dove Rabiot dovrebbe inserirsi.

Una strategia offensiva che sarebbe raffinata per quanto di difficile risoluzione, riesce di fatto una sola volta e determina un’ammonizione di Bellanova su Adrien lanciato a rete. Una soluzione per superare una difesa alta, dato che i granata non hanno fatto fatica a prendere campo. La Juve come spesso succede lo accetta, ma il risultato è che la gara è bloccata e invero bruttina. Sembra che per come le squadre siano messe in campo non solo si annullino, ma arrivino anche a impoverirsi terribilmente sul piano tecnico e gli errori di passaggio da una parte all’altra si finisce per non contarli da quanti sono. Nell’ultimo quarto d’ora i bianconeri crescono leggermente; Allegri chiede un 4-4-2 in fase di non possesso che permetta di riconquistare qualche pallone giusto con un pizzico di frequenza in più; i compagni trovano le sponde di Miretti con più facilità; gli sbagli calano progressivamente. Ma non c’è nessun segnale, né forte né debole, che possa suggerire che stanti così le cose la situazione diventi in qualche modo produttiva nella ripresa. O, se si vuole guardare il bicchiere mezzo pieno, che la nostra difesa vada incontro a qualche problema di una certa entità.
Con una sintesi estrema, dividendo il campo in due parti, si potrebbe dire: dietro, per chi arriva dall’assedio finale di Bergamo, il derby è poco più di una messa a punto; davanti, con Chiesa a osservare il tutto in tribuna, non si capisce cosa possa sbloccare la faccenda. A meno di un intervento di peso, di quelli che già solo perché li fai nell’intervallo sai che qualcosa determineranno.


L’ingresso di Milik fa indubbiamente bene, osservando la ripresa nella sua interezza. Seguendo, invece, il filo temporale, non c’è neanche il tempo di registrarlo che andiamo avanti. E lo facciamo andando a ripescare dal maledetto anno scorso l’unica cosa buona dal punto di vista tecnico che abbiamo maturato: la capacità di segnare da calcio d’angolo. Un “patrimonio” di 14 gol, 3 dei quali peraltro proprio nei due derby, tra andata e ritorno: Vlahovic, Danilo, Bremer. Stavolta capita a Gatti, in una mischia convulsa dove Gleison tra un po’ ci lascia la testa e il nostro centrale mostra quel che era legittimo sospettare: che uno come lui fosse un uomo da derby. Uno di quelli che ci ricorda che anche noi abbiamo un’anima tremendista. Solo che non la chiamiamo così o non ce la definiscono come tale. Ma non si vince quasi regolarmente le sfide contro il Toro se non si ha anche la capacità di mettere tutto se stessi, a maggior ragione quando non si frequentano i territori della qualità. E così va, e va benissimo così. Ancor più col fatto che il giochino riesca quasi identico, stavolta grazie a Milik, uno che sa il fatto suo quando sta in area di rigore e che a fine partita lo dice perfettamente: che se un attaccante va in gol, poi tutto diventa più facile. Più che la radiografia del suo stato d’animo è la descrizione della dinamica della partita, con la Juve che sul 2-0 sembra una squadra viva, vera e vincente. Più dell’ennesimo dibattito sulle prospettive, conta essere arrivati alla pausa esattamente nella posizione di classifica che la squadra merita.

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