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Se Juventus-Lecce è una seduta di autocoscienza

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Juventus-Lecce, l’analisi del giorno dopo di Paolo Rossi: se la vittoria bianconera fosse una seduta di autocoscienza

Al fischio finale di Juventus-Lecce, insieme al sospiro di sollievo che è arrivato per una gara rimasta sul filo fino all’ultimo, mi è successo di capire un sentimento che mi aveva pervaso durante la visione di tutta la gara. Ve lo racconto come se fossimo in un’analisi di autocoscienza individuale e insieme collettiva, nella quale una volta tanto non stiamo a dividerci sulle questioni prettamente tecniche, il lavoro dell’allenatore o l’insoddisfazione per il gioco espresso. No, stavolta scaviamo dentro di noi, a cercare le ragioni per le quali siamo qui a soffrire per un Juventus-Lecce che poi magari un giorno scopriremo che non conta niente, che tutto questo patimento (per chi lo prova) sarà stato inutile perché il campo è un simulacro, i verdetti si stilano da un’altra parte. Ecco, per i 90 minuti proprio di questa gara, me ne sono dimenticato di tutto questo veleno che ci guasta il gusto del campionato e ci fa pensare quasi esclusivamente all’Europa. Forse perché ero semplicemente stufo di vedere la Juve balbettare, 3 sconfitte di fila e giusto una bava di determinazione in più per uscire da Bologna con un punto. Forse succede così dove ci sono gli affetti nel calcio: non è un modo di dire, arriva il momento che senti l’assuefazione, la stanchezza e la noia per le tante critiche che tu stesso esprimi e ti aggrappi all’idea di base: crederci (il nostro Finoallafine). Ed è così che, dopo tanto tempo – eccolo qui il sentimento che ho dichiarato all’inizio del pezzo – ho sentito di voler bene a questa Juve, principalmente perché mi sembrava che tra i giocatori succedesse la stessa cosa: mi sono sembrati una squadra, un gruppo, un’unità di persone che si sforzassero di capirsi, di intendersi, di aiutarsi, di perdonarsi quando sbagliano. E di vincere, ovviamente.

L’analista mi direbbe (non sono mai andato in analisi, pur avendone immane bisogno come chiunque, perciò immagino e invento): mi dica, caro signor Gobbo, ma qual è la parola che le è venuta più in mente vedendo questo benedetto Juventus-Lecce? Sia sincero, aggiungerebbe, io la capisco benissimo se bara, non mi faccia entrare in profondità nei suoi ricordi (lei ha di sicuro quel maledetto vizio). Che poi finisce per parlarmi di quella volta che Buffon ha sbagliato uno stop con i piedi in un Juventus-Lecce e lei ha pensato che così no, così non è giusto perdere gli scudetti. Lei deve smetterla, come tutti, di pensare a quella cosa lì, se vuole capire qualcosa dell’oggi, qualcosa che la orienta nella direzione che più le serve per non deragliare.

Finalmente. É questa la parola che mi sono detto più volte. Credo di essere in buona compagnia nell’averla pronunciata ieri e nel rendermi conto che era da tempo che non mi usciva più fuori, di getto, in automatico, come succedeva una volta per l’urlo «gol!» prima che il Var ci gettasse nell’era del dubbio. Finalmente perché Paredes ha segnato: e va bene tutto, ci ha deluso come pochi e non sarà un gioiellino a farci cambiare pensiero; però era veramente il colmo avere un campione del mondo in rosa – neanche troppo riserva di quell’Argentina – e chiedersi come fosse possibile che non uscisse fuori mai nulla, neanche la più piccola evidenza. Finalmente per la rete di Miretti e pazienza se non era valida: se quella combinazione tra lui e un Fagioli molto convincente non è più una promessa ma una premessa per il domani e se il domani è la prossima partita e non un futuro imprecisato, finalmente davvero, si può sorridere. Finalmente, quella girata di Vlahovic su uno dei tanti, innumerevoli e continui cross di Kostic: senza pensare a come stoppare quella palla, a cosa farne, a come perderla, ci si coordina e si trova l’angolo, è questo il centravanti di cui abbiamo bisogno. Anzi, ne abbiamo bisogno di due, pure Milik al Dall’Ara ha fatto un gol simile, per farci dimenticare quel goffo saltino. Finalmente, infine, quelle danze sul campo sembrano veramente quelle di Pogba: ero il primo ad aspettarmi una versione diversa quando era arrivato la scorsa estate, avrei voluto nutrirmi di novità invece che di un revival; adesso mi basta un sentore di Paul e non chiedo altro, se non di vederlo ancora e subito, già alla prossima partita e ancora di più quella dopo.
Insomma, la corsa a un posto Champions mi è sembrata vera. E mi è tornata la voglia di vedere come va a finire. Perché con tutti i nostri limiti, i nostri errori e i nostri disastri, a oggi non c’è nessuno che merita più di noi il terzo posto.

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