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La Juventus Women sostenibile che oggi non sostiene questa Roma. Ma serve la Champions

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La Juventus Women sostenibile che oggi non sostiene questa Roma. Montemurro deve blindare la zona Champions

La sostenibilità è un compromesso virtuoso che trova compimento in un percorso che, per quanto riguarda la Juventus Women, non comincia ieri quando Stefano Braghin ha modo di dirlo davanti a un microfono. La Juve non è una super potenza del calcio femminile ma è comunque una realtà che si siede al tavolo della top 10 del ranking Uefa. Vi è arrivata anche grazie al lavoro di Joe Montemurro e chi lo critica troppo oggi pecca di scarsa memoria o di ingratitudine. La Juventus femminile ha vinto cinque scudetti negli ultimi cinque anni, che sono anche i suoi primi, e nell’ultima stagione si è aggiudicata campionato, Coppa e Supercoppa. Nel progetto triennale del tecnico australiano questo e il prossimo anno erano stati indicati come quelli a maggior tasso di rischio perché contraddistinti da un fisiologico ricambio generazionale. «È normale che qualsiasi ciclo viva un momento di assestamento: cambiare senza perdere di vista l’obiettivo sportivo è qualcosa di difficile», sono le parole, quasi preveggenti, del direttore prima di Juve-Milan.

Infatti se l’obiettivo è lo scudetto, tuttora nessuno a Vinovo dice cose diverse, gli 8 punti di distanza dalla Roma sono troppi. Anche la sostenibilità ha un suo pericolo: è quello di non vincere. A maggior ragione se il livello della Serie A femminile è aumentato, se la squadra non funziona più come prima, se c’è la Roma che fa quello che faceva la Juventus Women fino all’anno scorso. Le giallorosse stanno dominando il campionato, giocando bene sì, ma pure vincendo le partite sporche che invece la Juve non vince. Le ragazze di Spugna sono completamente in fiducia ed immaginarne un tracollo, con tutto il rispetto per l’imprevedibilità del nuovo format, sembra veramente difficile. Questa Roma per questa Juventus oggi è insostenibile, non tanto nel confronto diretto quanto nella tenuta a lungo termine. E questa è la consapevolezza, per qualcuno definitiva, che lasciano queste prime sedici giornate di campionato.

Tornando alla Juve: ci si è soffermati più volte in questa stagione sulle cose che non vanno. L’elenco è lungo: preparazione rocambolesca, infortuni, calendario fitto, seconde linee non all’altezza, qualche scollamento nello spogliatoio, sfortuna, anche se Montemurro non ci crede. Scegliete voi, per ciascuna, a chi addossare le responsabilità: staff tecnico, giocatrici, dirigenti, sistema, fato, altro. Venendo al campo: il nuovo e tanto inseguito 343 ha fatto un figurone contro Cittadella, Brescia, Chievo e Sampdoria ma si è sciolto come neve al sole al primo test probante. Dire ora che fosse prevedibile è parlare col senno di poi, ma qualcuno a Vinovo lo sospettava anche prima del Milan. C’è poi il macro tema del calciomercato: se n’è parlato fin troppo. La Juve lo ha fatto non spendendo: sono arrivate giocatrici valide, forti, ma inesperte o che non conoscono il campionato e che forse inizieranno a dare il loro contributo a marzo. Ecco perché Montemurro avrebbe accolto volentieri Maritz, Cafferata e Thomas. Gli avrebbe fatto comodo pure Bellucci per pulire la manovra. Non è stato possibile, raccoglierà i frutti più avanti.

Bisognerebbe iniziare a parlare invece della zona Champions e in particolare del secondo posto, attentato dalle arrembanti Fiorentina e Inter e che per la Juve è fondamentale blindare. Già di per sé arrivare secondi esporrebbe certamente allo scomodissimo mini-tournament di mezza estate contro avversarie ben più ostiche di un Koge qualunque. Non arrivarci affatto significherebbe dare un brusco stop alla crescita del progetto e quindi alla sostenibilità di per sé difficile da perseguire tra i nuovi onerosi costi del professionismo. La Juve ha incassato € 800.000 l’anno scorso dall’Uefa, quest’anno si assesterà oltre il mezzo milione. Rinunciare a una tra vittoria e sostenibilità risulta indigesto, figurarsi a entrambe.

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