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McKennie a Dazn: «Del Piero e Buffon i miei idoli. Farò di tutto per far vincere la Juve»
McKennie a Dazn: «Del Piero e Buffon i miei idoli. Farò di tutto per far vincere la Juve». L’intervista del centrocampista
McKennie ha rilasciato un’intervista a Dazn insieme a Weah, suo compagno di squadra alla Juve e in Nazionale.
I GENITORI – «Mio padre era spesso via, doveva viaggiare molto per lavoro. A volte stava via per tre mesi, poi tornava e ripartiva per un mese o due. Ma cercava di esserci il più possibile. Ovviamente mia mamma era quella che c’era sempre, se dovevo andare in Polonia o in Bolivia con la squadra veniva anche lei. C’era sempre, le nostre mamme si scrivono tantissimo, sai com’è sono sempre lì per i figli… Le mamme sono un grande motivo per cui siamo qui oggi, sicuro».
L’INCONTRO CON WEAH – «Io ero “sotto ai radar”, ai tempi. Tutti pensano che sono in cerca di attenzioni ma è solo la mia personalità. Tipo, se sto guidando in città sono sempre quello con i finestrini abbassati e la musica a palla. Ma tutti pensano: “Vuole solo farsi riconoscere, bla bla”. Penso sia proprio una cosa americana. Quando lo faccio qui in Italia e mi accosto a un’altra macchina la prima cosa che fanno è guardarmi e tirare su i finestrini».
MUSICA PREFERITA – «Tutti i tipi, hip hop, afro, RnB. Quando andiamo in Nazionale sul pullman, sono sicuro che se riguardi gli ultimi due anni ogni volta che scendiamo lui ha una cassa con la musica: l’energia, le vibes… Quindi sì ascoltiamo praticamente la stessa musica, a parte il country, a me piace il country. Con Leao abbiamo fatto una canzone insieme: io, lui e Moise. Siamo andati a Milano a registrarla durante un giorno libero. Freestyle? Sì ma non davanti a una telecamera».
VITA A TORINO – «A lui piace dormire, torna dall’allenamento e va a letto. Io… più o meno uguale. Ma quando vado in città o in posti come questo (il bowling, ndr.), certe volte mi piacerebbe farlo in modo normale e starmene da solo. In America è molto più facile, se stai nella comunità calcistica ti riconosceranno, anche se lì seguono più basket e football, ma se vai in un ristorante di lusso o simili potresti beccare Jay-Z seduto vicino a te. E allora sì non sei nessuno, o meglio non sei così conosciuto».
SPORT PREFERITI – «Da giocare il calcio, se dovessi sceglierne un altro in cui essere bravo direi il football. La mia squadra preferita? Sperando che tornino al vecchio nome, i Washington Redskins, ora Washington Commanders».
LA VITA TRA TEXAS E GERMANIA – «Come te lo immagini, cavalchiamo i cowboys per andare a scuola… Nella mia zona c’erano molte aree agricole che si stavano sviluppando, crescere lì per me è stato stupendo perchè tutti i miei amici erano nello stesso quartiere sicuro. Ci vedevamo in casa di uno di noi e andavamo insieme a scuola o prendevamo l’autobus. Ci passo ogni volta che torno a casa, giusto per vedere com’è. In Germania? La prima volta a 6 anni è stato diverso, non sapevo cosa mi aspettasse ma ero piccolo quindi ovunque stavo bene. Non capivo la grandezza della cosa. Mi ricordo che quando arrivammo stavamo scaricando la macchina e c’era un’ambulanza dalla parte opposta della strada, davanti a scuola, perchè di solito si giocava a calcio lì davanti e un bambino si era rotto una caviglia o qualcosa del genere. E quello è stato il mio primo incontro con il calcio. Non sapevo che fosse uno sport, non sapevo cosa fosse. Ho visto un grande pallone, quando gli unici palloni che conoscevo erano quelli da basket, football, baseball o softball. Ho visto questi bambini calciare quel grande pallone e ho pensato tipo: “Oddio lo stanno calciando? Deve fare male!”. Quindi sono andato alla macchina, ho preso la palla da softball e l’ho calciata pensando: “Ma come fanno?”. Ma per me crescere in Germania è stata la miglior cosa che potesse succedermi. Stavamo sempre fuori, in giro per il villaggio, potevamo andare in bici a 20 minuti da casa e per le nostre famiglie era perfettamente normale perchè tutti conoscevano tutti e tutti si proteggevano come in una piccola grande famiglia. Quindi è stato molto divertente per me. Dicevo che mio papà era nell’Esercito ma non entravo troppo nello specifico, eravamo vicini alla Base Americana quindi la gente sapeva. Per esempio c’era un pullman che ci portava alla scuola americana nella Base, io vivevo nel villaggio perchè mio padre voleva che ci immergessimo nella cultura locale e vivessimo una vita normale, perchè ci sono un sacco di bambini e non escono molto da lì. Noi volevamo vivere la vita locale e fare esperienze. Quindi penso che se non ci fossimo mai trasferiti in Germania non sarei dove sono ora. Probabilmente giocherei a football o chissà».
IL POSTER IN CAMERA DA BAMBINO – «Io avevo quello della Nazionale Italiana, quando alza la Coppa nel 2006. Ero in Germania quando ha vinto il Mondiale, c’erano parate e festeggiamenti. A quel tempo amavo Del Piero, Buffon, erano i miei idoli. Li adoravo al tempo con quella squadra, era folle. Ovviamente quando sono arrivato qui ero tipo: “Porca miseria, che figata!”. Abbiamo giocato entrambi con Gigi!».
PASSIONE PER HARRY POTTER – «Harry Potter l’ho visto tantissime volte, mi sono già fatto un tatuaggio ma ne farò un altro per tatuarmi il binario 9 e 3/4. Poi mi farò una bacchetta magica, forse anche il boccino d’oro».
RUOLO DA ESTERNO – «Me lo immaginavo perché prima di andarmene, in inverno, avevo giocato quinto a destra quando si è infortunato Cuadrado ma sono sempre stato in grado di giocare in diversi ruoli che è un’arma a doppio taglio».
IL RICORDO CHE VUOLE LASCIARE – «Alla fine della mia carriera vorrei essere ricordato come uno forte in un ruolo e non buono in tanti. Mi vedo come un 8, un centrocampista, ma come ho sempre detto farò di tutto per far vincere la squadra».
LA NAZIONALE USA – «Chiunque sceglierà il mister sarà forte, la nostra è molto più di una squadra, è una famiglia, la squadra più unita in cui sono stato».
PULISIC – «Io gioco con Pulisic da quando ho 13 anni anche se nei club siamo sempre stati in squadre rivali, io allo Schalke, lui al Dortmund, ora Milan e Juve… Avevamo una partita il giorno del ringraziamento e le nostre famiglie erano in città un paio di giorni prima del match. Siamo andati a cena insieme e ci siamo fatti una foto, a quel punto tutti volevano ucciderci. Io pensavo solo che questa fosse una festa americana e la trascorri con amici e famiglia».