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Milan-Juve ci consegna l’obiettivo da raggiungere

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Milan Juve ci consegna l’obiettivo da raggiungere. L’editoriale di Paolo Rossi sulla vittoria bianconera a San Siro

Se affronti la prima in classifica a -4, almeno fino a quando l’Inter non è venuta a vincere a Torino, è chiaro che il famoso discorso sull’entrare tra le prime 4 ha un significato diverso dal solito. Perché se perdi, davvero entri (almeno momentaneamente) in un tipo di campionato dove la concorrenza è ampissima (e in miglioramento, dal Napoli alla Lazio). Se vinci, hai il diritto di fingere o ritenere che non sei da scudetto, ma di fatto la differenza attuale con chi ti sta davanti è un nonnulla. Può sembrare esagerato, ma i 3 punti di San Siro valgono molto di più. Per certi versi, attribuiscono una nuova responsabilità alla squadra. E meno male che sia così, anche se non lo si dice. Cosa c’è dentro l’1-0 di ieri sera?


La Juve a Milano da subito offre una minima sensazione di accettare l’intensità che sta maturando in partita. Siamo abituati a poco, o certamente a non troppo in Italia da questo punto di vista, lo si capisce da come in telecronaca si esaltano le prime battute, quasi fosse l’annuncio di un grandissimo e inedito spettacolo. Ma questa componente ritmica la gara la perde quasi subito. Le squadre non fanno particolare pressione, più che altro si scambia per intenzione offensiva qualche tentativo di verticalizzazione rapida, che peraltro non porta frutti. La Juve sembra la solita e il primo grande episodio sembra dare ragione o comunque fondamento al tradizionale piano gara di Allegri: aspettare e non prestare il fianco. L’occasione con la combinazione Leao-Giroud è proprio il ritratto di ciò che i bianconeri non possono permettersi e che invece originano nel momento in cui mettono la testa fuori dal guscio: lasciare metri al portoghese che Sacchi non metterebbe in campo perché anarchico rispetto alla squadra (bontà sua); concedere palloni in area a Giroud che continua a essere un signor centravanti, ci vuole uno strepitoso intervento di Szczesny per non trovarsi sotto.
Stando tutta dietro, oltre che per mentalità del suo allenatore che non se ne vergogna minimamente, ha l’idea che la manovra degli avversari (più fluida a priori) perda in efficacia.

E, soprattutto, che sia fondamentale impegnarsi con degnissima applicazione nei duelli individuali, con mutuo aiuto nelle situazioni più problematiche. In area di rigore, poi, siamo comunque forti, anche quando siamo rabberciati. E se qualcuno ci vede un antistorico 5-3-2, ha perfettamente ragione, ma la posta in palio vale la formula. Anche perché progressivamente cresciamo e Kean va a concretizzare il tutto facendo espellere Thiaw, per poi subito dopo sfiorare il vantaggio. Si può dire all’intervallo che strategicamente siamo stati intelligenti? Assolutamente sì. Ma adesso si apre una pressione in più: vincere. In 11 contro 10 non farlo significherebbe condannarsi a una condizione di insufficienza grave, laddove (magari) prima del fischio d’inizio il punto lo avrebbero firmato in tanti.

Nella ripresa c’è solo un tema, o meglio, dovremmo imporlo nell’agenda: come e quando avverrà lo scambio delle parti, con il Milan costretto all’indietro. E, di conseguenza, se a spazi chiusi avremo la capacità di trovare il varco o ci sarà bisogno di altro, che sia un episodio o un risolutore. In realtà, è una situazione che dura pochissimo, anche perché si dimostrano i soliti limiti tecnici anche solo nel passarsi il pallone sui piedi. Ecco perché è importante che il gol di Locatelli arrivi proprio in quella maniera. Ancorché aiutato da una deviazione decisiva – ma nel tocco di Krunic c’è nella stessa misura sfortuna ed errore -, il messaggio è chiaro: provarci. Anche dalla lunga distanza, l’importante è trasmettere la volontà di far proprio il risultato. In aggiunta a questo c’è l’opportuno cambio di Cambiaso per Kostic. Che sia per freschezza o per attitudine, i suoi movimenti più interni contribuiscono ad allargare gli spazi, finalmente si vedono azioni sulle fasce con maggiore velocità, anche perché ovviamente la superiorità numerica inizia a farsi sentire nei muscoli e nel cervello degli altri. Si finisce con il paradosso di un Allegri arrabbiatissimo (ma ci è o ci fa?), che quando chiede più possesso ragionato e semplice ottiene anche qualche occasione per chiuderla. E ci si chiede se questo binomio non sia esattamente l’obiettivo più vicino da raggiungere, mentre si sta a -2 dal primato.

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