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Pepe: «Io, Giaccherini e Padoin l’abbiamo dimostrato: se dai tutto il tifoso della Juve ti amerà per sempre»
Pepe: «Io, Giaccherini e Padoin l’abbiamo dimostrato: se dai tutto il tifoso della Juve ti amerà per sempre». L’intervista
Pepe ha concesso un’intervista alla Juve nello spazio dedicato a Legends Corner. Queste le sue dichiarazioni.
I GOL IN BIANCONERO – «Ho fatto pochi gol in carriera e sono arrivati tutti con la Lazio! [ride, ndr]. Sono dei ricordi indelebili: quando realizzai il primo all’Olimpico, lo 0-1, venivo da un filotto di tre gol in tre partite e fu il colpo in scivolata su assist di Matri. Un periodo fantastico e importante sia per me che per la squadra. Poi feci quello in rovesciata a Torino, uno dei più belli della mia carriera: è rimasto impresso nella memoria dei tifosi ed è servito per continuare a inseguire lo Scudetto. Una giocata del genere è questione di istinto: taglio da destra verso il centro, Andrea [Pirlo, ndr] mette in mezzo una palla fantastica e io stoppandola di petto vedo che si alza in maniera perfetta sul destro in alto. In quel momento per essere più veloce, l’istinto ti porta a colpire al volo, rubando il tempo a tutti. Lo stadio che viene giù per la gioia invece… come faccio a descriverla quell’emozione? Quello che vivi in quel momento è una cosa unica, impossibile da raccontare per la forza delle emozioni. Ho i brividi solo a parlarne»
L’INAUGURAZIONE DELLO STADIUM E L’EMOZIONE DELL’ESORDIO – «Prima ancora dell’esordio, il primo grande momento della stagione 2011-12 è stata l’inaugurazione dello stadio: ho ancora i video e le foto, è stata una cosa fantastica. Uno spettacolo: noi giocatori eravamo in tribuna perché poi dovevamo giocare l’amichevole contro il Notts County e siamo rimasti incantati tutto il tempo a guardare. Da quella frase “Benvenuti a casa” a tutta la coreografia, passando per Del Piero e Boniperti sulla panchina: è stato più emozionante della prima gara nel nuovo stadio. Quella sfida contro il Parma è stata strepitosa, siamo stati perfetti in campo, andavamo fortissimo perché spinti dal pubblico che era a un passo da noi. Era un’esperienza nuova, abituati com’eravamo a giocare in stadi in Italia che erano ben più vecchi. Con la gente affacciata sulla linea laterale invece è diverso: veramente senti la spinta che arriva dagli spalti. Poi tutto è andato per il verso giusto quel giorno, dal gol di Lichtsteiner in avvio, a quello realizzato da me per il 2-0, fino al 4-1 finale».
IDOLO DEI TIFOSI – «Credo che il tifoso della Juventus, quando metti cuore e anima in mezzo al campo, te lo riconosce e ti vuole bene: la dimostrazione siamo io, Giaccherini, Padoin e non solo. Giocatori che ovviamente, se consideri che alla Juventus sono arrivati campioni Zidane, Del Piero, Trezeguet e tanti altri, non sono paragonabili a livello tecnico, però la Juventus ha avuto sempre nella sua storia un’identità ben precisa, nel senso che a fianco a Zidane giocavano Porrini, Torricelli, Pessotto, Birindelli… mentre in quegli anni lì, al fianco di Pirlo a Tevez, io e altri eravamo quelli chiamati a mettere quello spirito e quella voglia a supporto. Il tifoso della Juve se tu dai tutto in campo, ti amerà per sempre. Noi non ci siamo mai risparmiati ed essere diventato un beniamino è una cosa che resta, me ne accorgo ancora oggi quando vengo allo Stadium. Dico sempre: hanno apprezzato il fatto che quando scendevo in campo, davo tutto quello che avevo. Quando dai tutto, difficilmente un tifoso ti può rimproverare qualcosa».
L’ARRIVO NELLA JUVE DI DELNERI- «Quando sono passato alla Juventus venivo da tre anni all’Udinese: lì c’erano tanti attaccanti, io ero uno di quelli ma facevo pochi gol e quindi mi sono dovuto riadattare. La dote più grande che mi riconosco è quella di essere stato bravo a reinventarmi, mettere giù la testa e ricominciare daccapo. Sono arrivato alla Juve dopo tre anni importanti all’Udinese grazie ai quali ero riuscito a raggiungere anche la Nazionale. La Juventus era l’occasione della vita, mi son detto: “ci ho messo tanto per arrivare qua, finché ce la faccio dò tutto quello che ho”. Il primo anno con Delneri non feci male, la stagione andò in maniera negativa, ma i tifosi si legarono a me perché vedevano che mettevo tutto quello che avevo in campo. Delneri chiedeva un gioco dispendioso perché voleva che il quarto di centrocampo facesse il quinto di difesa e per ripartire c’erano 100 metri di campo da fare.
LA SVOLTA CON CONTE – «Poi con Conte è cambiato tutto, abbiamo vissuto l’evoluzione del calcio italiano, è stato lui a portarla sia a livello fisico che tattico perché noi ogni tre mesi cambiavamo modulo. In un anno abbiamo fatto 4-2-4, 4-3-3 e 3-5-2, quindi appena gli altri provavano a studiarci non facevano in tempo a capirci che già avevamo una soluzione diversa per metterli in difficoltà. A dicembre nell’annata con Delneri in panchina, prima della partita con il Chievo a fine anno, eravamo primi in classifica: poi abbiamo avuto un crollo prima di tutto fisico, oltre al fatto che quel gruppo mancava d’esperienza… Eravamo ragazzi che non erano abituati a vincere come richiesto dalla Juve e non è stato neanche facile per il mister. Non eravamo proprio pronti. L’anno dopo sono cambiate tante cose, è arrivato anche Pirlo dal Milan che ci ha fatto questo bel regalo… E poi Lichtsteiner, Vucinic, tutti giocatori importanti che sono riusciti a esprimersi al massimo delle potenzialità».
LO SPOGLIATOIO – «Il più simpatico nello spogliatoio ero io e non Pirlo [ride ndr]… Andrea fa ridere, lo vedi da fuori e sembra uno che parla poco ma fa ridere parecchio. Gli riconosciamo però più le doti calcistiche che la simpatia. Eravamo un grande gruppo e nell’anno del primo Scudetto, parecchi di noi nella stagione precedente avevano sofferto tutti insieme e avevamo una voglia di rivalsa. Nessuno aveva mai lottato per vincere e avevamo una fame che andava oltre: l’obiettivo era quello di lasciare un segno nella storia del club. La Juve ha qualcosa che è complicato da spiegare agli altri: quando ti dicono che ha una mentalità diversa, molti si chiedono cosa voglia dire… Capire quello che respiri, quello che vivi: è un qualcosa che non si trova da nessun’altra parte».
LA VITA DOPO IL CALCIO – «Una volta appesi gli scarpini al chiodo, non è facile staccare da quella vita: quando hai vissuto degli anni così belli, pieni di sacrifici, ma in cui hai coronato il sogno che avevi da bambino di giocare in Serie A, alla Juve, in Nazionale. Non è facile ripartire, reinventarsi, perché non hai fatto altro nella vita. Io sono intraprendente e mi sono creato una società di procuratori, ho cominciato a fare l’agente con un avvocato e altri due collaboratori. Però non tutti siamo uguali di carattere, c’è chi lavora in TV… Io ho preso questa strada perché volevo dimostrare a me stesso di saper fare altro oltre che giocare a pallone e questo mi ha dato tanta soddisfazione perché oggi gestire 23 ragazzi è un motivo d’orgoglio»»