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Contro la pazzia, la ragione del Fino alla Fine. Salernitana-Juve non è diversa da altre vittorie

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Salernitana-Juve non è una vittoria diversa da tante altre per i bianconeri: ecco qual è la ragione del Fino alla Fine

Prescindiamo per un attimo nel valutare l’ultima giornata dalle polemiche intorno al Var di sabato. Non perché non siano importanti, ma per immaginare se c’è mai a oggi una correlazione tra ciò che succede all’Inter e quel che rispondiamo noi (o anticipiamo, a seconda del calendario). Bene, la vera ipoteca della nostra domenica, dopo il sabato di Inter-Verona, era esattamente questa. Avere la mente libera, non pensare né al -5 con cui siamo scesi in campo a Salerno, né al come è maturato e neanche al fatto che se Henry avesse segnato il rigore ci sarebbe stata la possibilità di chiudere a pari merito. Con l’effetto di cambiare totalmente la narrazione in voga. Come rispondere sul piano emotivo alla “pazzia” del nostro antagonista, per usare una loro categoria, che qualche segnale di fragilità nervosa inizia ad averlo, visto che continua a vederci lì, come un’ombra?
Ebbene, la nostra immediata risposta, soffermandoci alla prima frazione di gioco, è stata sconsolante. Non solo perché eravamo reduci dal set di Coppa Italia con lo stesso avversario e si poteva incidere maggiormente da subito, anche sul piano psicologico.
Altri sono stati i fattori che mi hanno fatto pensare che davanti avessimo la peggiore – o giù di lì – prestazione della stagione. Perché la Juve entra con lo spirito giusto, ma poi quasi in maniera sistematica non sfrutta le possibilità offensive che si intravedono. Troppo spesso le mezzali tornano indietro, non cercando con continuità la boa Vlahovic che sembra proporsi bene. Non si riesce a mettere in azione Yildiz, che ovunque agisca qualcosa determina, come testimoniano alcune incursioni in avanti e comunque costringe Guida a estrarre due cartellini gialli, fattore che poi avrà un peso determinante nella gara.

E poi ci sono altri difetti molto visibili. Su tutto una circolazione palla lenta, prevedibile, che non può programmaticamente trovare varchi, né in zona centrale, né tanto meno sulle fasce dove scegliamo – o probabilmente non riusciamo – ad andare sulla sinistra. Kostic appare fuori dalla partita e non è un caso che da quel lato nasca il gol del vantaggio della Salernitana. Per carità, Maggiore fa tutto molto bene allorché riceve palla, ma non ha torto Allegri a ricordare a fine gara che dentro il 6-1 di tre giorni prima c’era anche il gol subito, la nostra fase difensiva non è più solida e stiamo prendendo gol evitabili. Il mister dice qualcosa di più, vale a dire che stiamo trasmettendo una sensazione di vulnerabilità, per la verità indipendente persino dallo svantaggio, considerando come Szczesny qualche parata l’abbia fatta. Costil, invece, nei primi 45 minuti assolutamente no. E qui, certamente, non si può essere d’accordo sulla valutazione del nostro tecnico allorché sostiene che non si sia fatto male nella prima parte della gara. Considerando anche l’accensione nervosa accennata poco prima dell’intervallo e valutando nella giusta dimensione il non avere trovato mai lo specchio, la sensazione è che si possa andare davvero incontro a una serata decisamente problematica. Anche perché, date le assenze, credere in risorse dalla panchina che risultino decisive non è esattamente il primo pensiero al quale aggrapparsi.

E, invece. Allegri manda subito due nuovi in campo e qualcosa cambia. Intanto la presenza di Iling, al di là del fatto che non sembra così brillante da superare l’uomo, ha il pregio di liberare degli spazi. E, come spesso succede, per non dire quasi sempre, i giri del motore di Rabiot iniziano a crescere col trascorrere dei minuti. Da un suo inserimento nasce il cross che McKennie vanifica a tal punto che sì, si può iniziare anche a pensare che la nostra idea di scudetto possa affondare nella pioggia dell’Arechi, visto che non siamo certo squadra da perdere in albergo quel che ancora non tutti pronunciano apertamente. Poi Adrien costringe Maggiore all’espulsione. E, soprattutto, la qualità inizia a farsi sentire con l’apporto di Milik. Perché con un Yildiz che ancora non ha i 90 minuti, c’è bisogno di un riferimento in attacco che funzioni anche per pulire meglio i palloni importanti. Come succede nell’azione dell’1-1, col suo tocco raffinato per Weah, che Vlahovic non imita, ma che Iling riesce comunque a trasformare in rete. Dopodiché, la serata non vira per il verso giusto. Segno che il problema è più profondo di un calo nervoso o di un approccio sbagliato. La Juve è nient’altro che quello che troppo spesso è: una squadra che fa una fatica bestiale per mille motivi a superare le squadre chiuse.

Per questo il gol nei minuti finali ha un valore eccezionale, mettendo questa vittoria insieme a tutte le altre di stretta misura. Con l’effetto di controbilanciare i nostri limiti che sappiamo crederci, che abbiamo gli uomini decisivi (il contributo di Dusan sta diventando pesante) e che sappiamo conservare la ragione, come evidenzia il non avere buttato palloni a caso, ma l’avere trovato la chiave. E in una volata tra la pazzia e Fino alla Fine, non è detto che vinca chi sgomita di più.

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