Sara Gama si racconta: «Trieste, gli inizi, le difficoltà, l'essere capitana»
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Sara Gama si racconta: «Trieste, gli inizi, le difficoltà, l’essere capitana»

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Sara Gama si racconta: «Trieste, gli inizi, le difficoltà, l’essere capitana». Il difensore della Juventus Women a 360 gradi

Sara Gama si racconta a 360 gradi nel format Nuove Strade di Lavazza in occasione della puntata Trieste a lei dedicata. Parla il difensore della Juventus Women e della Nazionale.

PRIMA VOLTA ALLO STADIO DA GIOCATRICE – «La prima volta che sono entrata in un vero stadio ho provato le sensazioni che avverto ancora oggi quando scendo in campo. Mente e corpo sono tesi e concentrati per un unico obiettivo, dare tutto per vincere».

INIZI – «Ero una ragazza triestina che pensava di giocare a calcia, cosa che non era tanto scontata per le ragazze. Mi sono divertita parecchio e ho portato i colori dell’Italia in giro per il mondo e anche quelli di importanti squadre»

ESSERE CAPITANA – «Quando doni un esempio e gli altri vedono che ti impegni al massimo e fai le cose in una determinata maniera, diventi leader. Sono gli altri che ti scelgono, non è una cosa che decidi tu. Si dice capitana, il linguaggio è importante perché plasma la realtà in cui si vive. Dà problemi declinare per genere le cose, ma è un’abitudine che plasma le cose. Quindi, capitana».

DIFFICOLTA’ – «Quelle pratiche che ha incontrato qualsiasi bambina che ha approcciato questo percorso. Resistenze in famiglia, difficoltà nel trovare una squadra di ragazze, una barriera culturale da abbattere che ora noi stiamo togliendo. Noi ci siamo costruite il nostro, all’epoca non c’era la prospettiva di indossare la maglia della Juventus o di stare a certi livelli. Quello che cerchiamo di trasmettere alle ragazze più giovani è che le cose vanno conquistate, quello che hanno non è venuto dal nulla». 

DIFFICOLTA’ DI INTEGRAZIONE – «Non nel mio caso, qui a Trieste abbiamo una tradizione multiculturale, siamo da sempre un incrocio di culture. Bisogna ispirare la gente in maniera positiva, è l’unico modo per sconfiggere l’ignoranza. Bisogna parlarne ogni giorno e non a spot».

ANDARE ALL’ESTERO – «Il nostro Paese vive un momento particolare, non positivo. Io sono andata fuori per vivere un’esperienza di calcio e di vita. Quando sono rientrata c’è stato un grosso cambiamento. Prima vedere una ragazza giocare a calcio non era comunque, questa cosa sta cambiando. Sono salti culturali grossi». 

LINGUE – «So quattro lingue più il triestino. Imparare una lingua è l’unico modo per entrare completamente a contatto con un popolo e capirne la mentalità».

TRIESTE – «Cosa mi manca? Sicuramente il mare, quello sempre. Ho molti amici qui, di solito non avviso quando arrivo. Ma troviamo sempre il modo».

RAPPORTO COL PALLONE – «Ho sempre avuto una palla tra i piedi, mi ricordo io mio primo pallone. Me l’ha comprato mio nonno, andavo in giro dappertutto e giocavo per strada nel mio quartiere con i miei amici. E così che ho cominciato».

SOCIAL – «Un rapporto tutto da costruire. Li ho e li uso quando lo ritengo necessario per far arrivare qualche messaggio. Credo siano stati molto importanti nello sviluppo del calcio femminile, per ottenere visibilità e crescere. Negli ultimi anni ho imparato a fare qualche selfie».

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