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Verso la ripresa, convocazioni e allenamenti: rispondono gli esperti – ESCLUSIVA
Parola agli esperti: tutto quello che c’è da sapere sulle convocazioni delle società in questo momento di emergenza per il Coronavirus
Dopo la pubblicazione delle Legge n. 27/2020, che ha convertito il Decreto «Cura Italia», il mondo del calcio continua ad interrogarsi sulla possibilità e sulle tempistiche di ripartenza dei campionati.
In attesa delle decisioni del Ministro dello Sport Spadafora, è stato accordato alle società la ripresa delle sedute individuali dei giocatori, onde poter riprendere successivamente gli allenamenti di squadra a pieno regime.
Alcune società hanno consentito ai propri tesserati di poter svolgere sedute individuali facoltative presso il centro sportivo. Chiaramente, nel rispetto del distanziamento sociale.
Ad oggi, vista l’incerta situazione sanitaria e legislativa, non risultano convocazioni ufficiali da parte delle società di Serie A per la ripresa degli allenamenti di gruppo.
Molti giocatori si trovano attualmente all’estero e, una volta convocati, dovrebbero rientrare in Italia: Cristiano Ronaldo lo ha già fatto. Tuttavia, un calciatore potrebbe anche decidere di non rispondere alla convocazione del proprio club. In questo senso si è mormorato tanto nelle ultime settimane su Gonzalo Higuain, che vive anche un problema di salute della mamma. Secondo quanto raccolto da Juventus News 24 l’argentino dovrebbe regolarmente rispondere alla chiamata della Juventus, ma il polverone alzato nelle ultime settimane offre comunque qualche spunto meritevole di attenzione.
Da quì, la prima domanda: dal punto di vista contrattuale è possibile ignorare la convocazione della propria squadra in caso di emergenza o di forza maggiore, quale un’emergenza epidemiologica o un grave motivo familiare?
Analizziamo insieme la questione con il supporto di tre esperti legali: gli avvocati Antonio Maria Borrello, Luca Gerla e Alessandra Ricciardi.
Può un giocatore non rispondere alla convocazione ufficiale del proprio Club?
«La mancata risposta alla convocazione della società è da considerarsi una violazione degli obblighi contrattuali da parte del giocatore.
Come noto, nel nostro ordinamento il giocatore professionista è a tutti gli effetti equiparato ad un lavoratore subordinato, tanto che il rapporto negoziale con la società professionistica di appartenenza, ove non espressamente escluso dalla L. 91/81, è soggetto alle norme dello Statuto dei Lavoratori.
Le obbligazioni cui il giocatore è tenuto, in base all’Accordo Collettivo tra F.I.G.C- L.N.P.A ed A.I.C., sono molteplici.
Egli infatti:
– deve, salvo i casi di malattia od infortunio accertati, partecipare a tutti gli allenamenti nelle ore e nei luoghi fissati dalla Società, a tutte le gare ufficiali o amichevoli che la Società stessa intenda disputare in Italia o all’ estero (art 7.2);
* ha il dovere di fedeltà nei confronti del Club e divieto di comportamenti che possano arrecare pregiudizio all’immagine stessa della società (art. 10);
* non può interferire nelle scelte tecniche, gestionali e aziendali della Società (art. 10.6).
Come abbiamo detto il giocatore di serie A è pur sempre un lavoratore subordinato, nonostante il particolare status che lo rende simile ad un libero professionista.
Quindi se la società convoca il giocatore, questo, in qualità di dipendente deve rispondere alla convocazione e presentarsi nel luogo indicato dalla Società.
Tuttavia, in casi particolari il giocatore può chiedere di essere temporaneamente esonerato dalla prestazione e, tra questi, possiamo sicuramente considerare i gravi motivi familiari (come in passato è accaduto per altri sportivi)».
Cosa rischia il giocatore che non risponde alla convocazione?
«La Società, in base all’art. 10 dell’Accordo Collettivo può scegliere tra una serie di provvedimenti (dal più mite – ammonizione scritta- fino al più duro- risoluzione del contratto) a seconda delle circostanze.
La multa consiste in una penalità contrattuale e la sua quantificazione è proporzionata alla gravità dell’inadempimento, ma non può superare in ogni caso il 25% della retribuzione mensile lorda dell’atleta.
Per fare un esempio, Mauro Icardi era stato sanzionato dall’ Inter con una multa di 100.000 euro per essersi presentato con un giorno di ritardo al centro sportivo “La Pinetina” dopo la sosta natalizia».
Se la volontà del calciatore fosse realmente quella di non rientrare in Italia, la Società potrebbe anche decidere di adottare una sanzione più grave della semplice multa?
«Il Club, sempre in considerazione delle motivazioni che spingono il calciatore ad ignorare la sua convocazione ufficiale, potrebbe nella peggiore delle ipotesi optare per la risoluzione unilaterale del contratto ed esigere un risarcimento per il danno patito».
Anche il calciatore può scegliere di recedere unilateralmente dal contratto?
«Di regola i contratti dei calciatori sono a tempo determinato, cioè non possono superare la durata di 5 stagioni sportive e nella L. 91/81 non è contemplata la possibilità per le parti di recedere prima della naturale scadenza del rapporto negoziale, salvo in presenza di una giusta causa».
L’emergenza Covid-19 e l’attuale situazione italiana possono costituire giusta causa per recedere dal contratto?
«Per quanto riguarda la nozione di giusta causa sportiva occorre fare riferimento all’art. 15 RSTP Fifa. “Un professionista affermato (established) che abbia disputato, nel corso di una stagione agonistica, meno del 10% delle gare ufficiali alle quali partecipava la sua società, può risolvere il suo contratto prima della sua scadenza naturale per giusta causa sportiva. Nella valutazione di tali casi, verrà tenuta in considerazione ogni circostanza specifica concernente il calciatore. L’esistenza della giusta causa sportiva dovrà essere accertata caso per caso. Non saranno irrogate sanzioni sportive, anche se può essere richiesta un’indennità”. Il professionista può porre fine al suo contratto per giusta causa sportiva solo nei 15 giorni successivi all’ultima Gara Ufficiale della Stagione disputata per la Società per la quale è tesserato”.
L’articolo in questione non risulta applicabile al caso di specie e il rifiuto di voler tornare in Italia e mettersi a disposizione del proprio Club non costituisce giusta causa sportiva, specie quando la società è in grado di garantire i massimi standard di sicurezza e tutela della salute di ciascun atleta.
In base all’art. 7 della L. n. 91/81 le società sportive hanno diversi obblighi riguardanti la tutela sanitaria dell’atleta come ad esempio l’istituzione della scheda sanitaria per ogni giocatore che deve costantemente aggiornata. I controlli medici a cui il giocatore si deve sottoporre sono stabiliti dalla F.I.G.C ed approvati dal Ministero della Salute.
Oltretutto, in base all’art. 2087 c.c., qui applicabile, la società nella sua qualità di datore di lavoro è tenuta ad adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
A ciò si aggiunga la rilevanza penale delle condotte ascrivibili ai datori di lavoro, per il mancato rispetto degli standard di sicurezza nei luoghi di lavoro, nonché le correlate ricadute sull’ente, ai sensi del D.lgs. 231 /2001.
Tutte le società di calcio di Serie A, in vista della eventuale ripresa del campionato, saranno obbligate a mettere in atto uno stringente protocollo sanitario elaborato dalla F.I.G.C d’intesa con il Ministero della Salute per tutelare gli atleti e di tutto lo staff tecnico dal rischio di contrarre il Covid-19.
A fronte dell’adozione di tutte le misure necessarie e obbligatorie da parte della società, la paura di contrarre il Covid-19, non potrebbe essere un motivo accettabile per rifiutarsi di rientrare in Italia».
Società e Calciatore potrebbero raggiungere un accordo per «separarsi» consensualmente?
«Sì. Ai sensi dell’art. 117 NOIF F.I.G.C. Società e Giocatore possono risolvere consensualmente il contratto in essere.
In questo caso Società e Giocatore dovrebbero accordarsi anche economicamente per risolvere anticipatamente il rapporto contrattuale, attraverso la corresponsione della c.d. buonuscita.
In questo modo il calciatore sarebbe libero di tesserarsi presso un’altra società nel corso del periodo annualmente stabilito per la cessione dei contratti (c.d. finestre di trasferimento)».