Hanno Detto
Trezeguet: «La Juve di oggi mi ricorda quella del 2006»
Trezeguet: «La Juve di oggi mi ricorda quella del 2006» . Il francese si racconta a 360 gradi a Legend’s Corner
Trezeguet si è raccontato a 360 gradi a Legend’s Corner. Le parole del francese al sito ufficiali della Juventus.
L’AMORE PER IL CALCIO – «Il mio amore per il calcio nasce quando ero bambino: mio papà era un calciatore professionista argentino, e io nacqui in Francia, in Normandia, a Rouen perché lui in quel momento giocava li. Sono nato in Europa, ma il mio sangue è argentino e sudamericano, ed è quindi normale che il calcio sia qualcosa che ho sentito subito in me. Quando ero bambino, tornato a Buenos Aires, e nacque fortissima la voglia di giocare: feci a 10 anni un provino al Platense e fu per me il primo approccio con il calcio vero, le regole, un allenatore, i compagni di squadra. Ricordo quel giorno, come ricordo anche benissimo la mia prima volta in allenamento con i professionisti: avevo 16 anni, quell’evento per me fu unico, un mix di emozioni, di voglia, forse anche di paura.
Sei giovane, ti trovi davanti a uno spogliatoio di professionisti, che ti guardano come uno “piccolo”, ti danno consigli e ti regalano i dettagli utili per quella che sarà la tua vita da giocatore. Per la prima volta si unì in me l’aspetto del divertimento all’idea che giocare potesse diventare un lavoro… ».
IL RITORNO IN EUROPA – «Io da ragazzo mi sono divertito tanto, ed è qualcosa che ancora oggi suggerisco ai giovani, perché divertirsi è fondamentale. Poi ci sono i momenti di svolta: il primo per me arrivò quando avevo 17 anni. La storia della mia vita incrociò, curiosamente, lo stesso procuratore che aveva avuto mio papà, che continuava a lavorare con la Francia. Fui molto fortunato, perché la famiglia mi ha sempre appoggiato in tutti i miei sogni, restandomi vicino, in un età difficile, in cui si rischia di perdere il focus».
IL MONACO – «Fu così che nel 1997 tornai in Francia, feci il viaggio al contrario: da Buenos Aires al Principato di Monaco. Per me l’Europa è stata fondamentale, ho imparato una grande professionalità, un’attenzione ai dettagli, ed è stato il mio approdo al mondo del professionismo. Un approdo che pochi mesi dopo mi portò alla Nazionale: all’epoca non potevo avere doppio passaporto, e presi la cittadinanza francese. Ho vinto gli Europei Under 17, battendo la Spagna in Finale, ho giocato i Mondiali giovanili in Malesia, e siccome c’era una bella collaborazione fra la Nazionale maggiore e le Under, è arrivata la convocazione con i “grandi”…»
STADE DE FRANCE NEL DESTINO – «Giocai nel febbraio 1998 alla partita d’inaugurazione dello Stade de France, in cui battemmo la Spagna. E poi arrivarono i Mondiali: sono diventato Campione del Mondo a 20 anni. Com’è stato giocare in quella Nazionale per me, così giovane? Era un momento particolare: la Nazionale doveva essere ricostruita e l’avventura di quel torneo fu incredibile, non solo per il calcio, ma per il grande seguito che quella vittoria ebbe anche su temi sociali, come il razzismo, che erano molto sentiti in Francia. Io vissi quell’avventura incredibile, restando due mesi chiuso con i compagni, senza quasi rapporti all’esterno: questo fu utile per restare concentrati e non farsi travolgere dalle emozioni, e ci portò a una vittoria incredibile».
L’ARRIVO ALLA JUVE – «Il passaggio successivo della mia crescita è ancora con la Nazionale: dopo il Mondiale c’era da dare continuità, per vincere anche un Europeo, due anni dopo. Anche in quel caso arrivammo fino in fondo, ma ricordo molto bene quel periodo anche perché, proprio poche settimane prima della fine del torneo, firmai il mio accordo con la Juve. C’erano, nella Nazionale, due giocatori che la conoscevano bene, Deschamps e Zidane, io avevo alcune proposte sul tavolo, ma quando ho saputo che mi volevano i bianconeri non ho avuto dubbi. Ero ancora giovane ma non avevo paura a entrare in una storia leggendaria, che spesso aveva visto giocatori francesi protagonisti».
L’APPROCCIO ALLA SERIE A – «L’incontro con la Juve: un mondo nuovo, un ambiente fatto di tantissimi campioni, in un torneo, la Serie A, che allora era ambita da tutti i grandi giocatori del mondo. Un campionato nel quale c’era e ancora oggi c’è tanto da imparare, specie per un ragazzo, com’ero io all’epoca: furono settimane anche difficili all’inizio, io arrivavo dalla Finale degli Europei, vinta proprio con l’Italia. Ma la mia storia racconta che sono rimasto 10 anni, ho segnato e vinto tantissimo, ho giocato con tre palloni d’oro, ed è qualcosa che non capita spesso. Qui alla Juve, ho messo a disposizione il mio istinto, il mio talento ma ho lavorato anche tantissimo; in un club come questo imparai presto quello che era il mio ruolo, imparai da un lato a capire i compagni, dall’altro sono cresciuto ogni giorno, in ogni partita, anche confrontandomi con i grandi campioni che allora c’erano in Serie A».
LA JUVE DI OGGI – «Se penso alla Juve di oggi, vedo che c’è un buon lavoro in corso con il Settore giovanile; rivedo in un certo senso quello che ho vissuto nel 2006, quando sono cresciuti giocatori come Marchisio e Giovinco: quest’anno ci sono ragazzi che si sono fatti notare e hanno dimostrato le loro qualità, ed è una cosa molto bella. Tutto ha un inizio, e vedendo giocare questi ragazzi io ripenso al mio; è importante che quindi la società sostenga e faccia crescere, con un’idea chiara, giocatori che possono diventare importanti, perché il pubblico ama i ragazzi che “nascono” nella loro squadra».